Il Servizio Studi BNL ha elaborato i conti economici delle imprese italiane degli ultimi anni, estraendone alcuni importanti aspetti generali.
La sintesi di tale elaborazione è rappresentata dal documento BNL Focus del 29/05/2017, denominato "Una prima anticipazione sui conti delle imprese italiane". Tra gli aspetti richiamati nel documento, meritano particolare attenzione le criticità rilevate, in particolare la carenza di investimenti e l'alto costo del lavoro.

Per quanto concerne la carenza di investimenti, i numeri testimoniano una tendenza al ribasso iniziata dal 2008, perseguita fino al 2013 e con una lieve ripresa fino al 2016; ripresa che ha colmato soltanto 11 dei 23 miliardi di euro di investimenti in meno effettuati dalle aziende rispetto al 2007. Inoltre, il tasso di investimento - dato che indica quanta parte del valore aggiunto viene destinata agli investimenti - si è attestato negli ultimi anni sul 20%, lasciando oltre quattro punti percentuali sul terreno della crisi. Per una corretta analisi relativa alla dimensione degli investimenti è inoltre opportuno includere gli ammortamenti, che misurano l'invecchiamento del capitale esistente. Si consideri che tra il 1995 ed il 2008 il valore medio annuo degli ammortamenti è stato superato di quasi 25 miliardi dai nuovi investimenti, creando in questo modo sempre nuova capacità produttiva, mentre dal 2009 in poi i nuovi investimenti non sono stati neanche sufficienti a compensare l'invecchiamento del capitale esistente (deficit medio annuo pari a circa 20 miliardi di euro).
Tutto ciò significa che in un sistema economico globale sempre più complesso, l'economia italiana non solo ha smesso di investire, ma sta velocemente perdendo capacità produttiva.

Sulle decisioni di investimento pesano tante le opportunità offerte dai business esteri, quanto la persistente incertezza che caratterizza lo scenario nazionale.
Nel primo caso, infatti, una buona fetta degli investimenti delle imprese italiane si è collocata fuori dai confini nazionali, contribuendo alla flessione delle quotazioni delle azioni e partecipazioni di altre imprese residenti in Italia. Nel secondo caso, invece, il clima di sfiducia verso la crescita del sistema nazionale ha favorito i disinvestimenti piuttosto che gli investimenti, portando a politiche dei dividendi con ammontare più alti di quanto distribuito agli azionisti nella seconda metà degli anni Novanta.

La riorganizzazione del processo produttivo derivante dai profondi mutamenti appena descritti, però, non sta portando i risultati sperati, nonostante il forte calo dell’onere medio del debito dovuto dal blocco degli interessi operato dalla BCE.
Il costo del lavoro è ancora troppo alto (55% del valore aggiunto) e la quota di profitto delle imprese non finanziarie calcolata tramite il rapporto tra risultato lordo di gestione e valore aggiunto ha perso più di dieci punti percentuali negli ultimi venti anni.
Tra i pochi aspetti positivi rilevati, il capitale delle imprese, rappresentato da azioni e partecipazioni, ha continuato a beneficiare dell’apporto di nuove risorse, il che potrebbe significare che, nonostante la congiuntura tutt’altro che favorevole, si crede ancora nell’imprenditoria italiana, ad oggi motore insostituibile del nostro sistema economico.
 
Articolo redatto dal Dott. Riccardo Cerulli - 05/06/2017