La riforma del diritto di famiglia introdotta nell'ordinamento italiano con la legge n. 151 del 19 maggio 1975 ha profondamente innovato l'istituzione sociale della famiglia, sia per quanto concerne il profilo soggettivo dei familiari che sul piano patrimoniale.
In primis, è stato riconosciuto alla donna un ruolo paritetico rispetto all'uomo: infatti il nuovo testo dell'art. 143 del Codice Civile - così come modificato dall'art. 24 della citata l. 151/1975 - dal titolo "Diritti e doveri reciproci dei coniugi", stabilisce che "con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia".

In secondo luogo, la riforma del diritto di famiglia è intervenuta in merito agli effetti della separazione sul mantenimento degli eventuali figli (art. 155 del c.c., in seguito nuovamente modificato dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, rubricato "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli") e sui rapporti patrimoniali tra coniugi (art. 156 c.c.).
 
Prima di approfondire quest'ultimo tema è bene chiarire che la separazione consiste nell'interruzione stabile ed effettiva della convivenza coniugale, con conseguente sospensione dei doveri reciproci dei coniugi e cessazione della eventuale comunione legale.
Al di là della separazione di fatto, che consiste in un mero patto informale tra i coniugi privo di rilevanza legale, si configurano due tipologie di separazione: la giudiziale e la consensuale.
 
La separazione giudiziale si rende necessaria nel momento in cui marito e moglie non riescono a trovare un'intesa relativamente alle condizioni di separazione, perciò il ricorso al Giudice può essere presentato anche da uno solo dei due coniugi.
Per quanto riguarda i presupposti per la presentazione della domanda di separazione giudiziale, a parte i casi di colpa previsti già dal Codice Civile del 1942, la riforma del diritto di famiglia ha novellato anche l'art. 151 del Codice stesso, introducendo anche circostanze oggettive imprevedibili, tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole, verificatesi anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi.
Lo stesso art. 151 disciplina la possibilità di richiedere l'addebito della separazione in capo al consorte che abbia attuato comportamenti contrari "ai doveri che derivano dal matrimonio".
Il procedimento si chiude in primo grado con la sentenza definitiva del Tribunale, dove vengono stabiliti l'affidamento dei figli, l'assegnazione della casa coniugale e le questioni economiche e patrimoniali.
 
Nella separazione consensuale, invece, le decisioni relative alla sospensione del rapporto coniugale vengono definite in un accordo di separazione concertato da moglie e marito in sede privata.
Accordo poi sottoposto a giudizio di omologazione, attraverso il ricorso al Presidente del Tribunale scelto in base ai criteri di competenza territoriale. Nello stesso ricorso si richiede la fissazione di un'udienza di comparizione delle parti (c.d. udienza presidenziale) all'esito della quale viene redatto il verbale di udienza contenente l'indicazione dell'accordo raggiunto e del suo contenuto. Infine, l'accordo di separazione viene sottoposto al giudizio di omologazione (fase collegiale) ed al visto del Pubblico ministero (in caso di presenza di figli minori), fino ad arrivare alla definitiva omologazione della separazione.
 
Dal punto di vista fiscale, non esistono differenti trattamenti per i due tipi di separazione.
Sia nella giudiziale, sia nella consensuale, infatti, quando uno dei consorti risulta essere privo delle sostanze necessarie per mantenere un tenore di vita analogo a quello che conduceva durante la convivenza matrimoniale, l'altro coniuge ha l'onere di versare un assegno di mantenimento in favore del primo, oltre che naturalmente in favore dei figli nati dal matrimonio. L'attribuzione del mantenimento, quindi, trova la sua motivazione nell'obbligo di assistenza materiale tra i consorti; dovere che si conserva anche nella separazione.
La stima dell'assegno richiede, in primo luogo, un'indagine circa l'effettiva disparità economica tra i partner a svantaggio del richiedente (ricostruendo il c.d. Reddito Familiare) e, in secondo luogo, una valutazione sul contesto nel quale il nucleo familiare è vissuto.
È
molto importante in questa fase ricordare che qualora l'addebito della separazione venga riconosciuto al coniuge accusato, questi non ha diritto ad ottenere l'eventuale assegno di mantenimento.
 
Esiste una sostanziale differenza tra il mantenimento ed i cosiddetti "alimenti", poichè questi ultimi, per essendo sempre una prestazione a carattere patrimoniale effettuata dal coniuge sulla scorta del principio di reciproca assistenza e solidarietà all'interno del gruppo familiare, non sono dovuti in assenza di un oggettivo stato di bisogno dell'altro coniuge, il quale è impossibilitato a provvedere al proprio mantenimento.
 
Tornando all'assegno di mantenimento al coniuge, il soggetto che lo versa può portarlo interamente in deduzione nella propria dichiarazione dei redditi, a condizione che le somme siano pagate con regolarità e che corrispondano esattamente a quelle precisate nel provvedimento del giudice. In merito al giudice, può capitare in presenza di figli che non venga distinto l'importo relativo all'ex coniuge e quello relativo ai figli, che - a differenza del mantenimento all'ex coniuge - non è deducibile dal reddito imponibile. In questi casi l'assegno è da considerarsi destinato per metà ai figli, con la conseguenza che il coniuge incaricato di corrispondere il mantenimento, potrà dedurne solo il 50% dell'importo complessivo.
Per quanto concerne il partner percettore dell'assegno di mantenimento, egli ha l'obbligo di sommarli al reddito imponibile IRPEF, naturalmente omettendo la quota destinata ai figli, data la sua non imponibilità.
 
Quanto al diritto a succedere, infine, è discriminante il titolo della separazione.
Il coniuge separato al quale non sia stata addebitata la separazione mantiene gli stessi diritti successori preesistenti alla conclusione del rapporto e, di conseguenza, conserva tanto lo status di legittimario, quanto il diritto di abitazione
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Articolo redatto dal Dott. Riccardo Cerulli - 31/3/2016