Nell’ordinamento italiano l'evidenza pubblica è intesa come schema procedimentale preordinato di carattere speciale, cui la pubblica amministrazione è tenuta a ricorrere nell'esplicazione della propria capacità negoziale di diritto privato, al fine di curare l'interesse pubblico affidatole dalla legge, che giustifica la necessità di contrattare, la scelta del contraente e la formazione del consenso.
 
Attraverso l'esternazione dell'iter procedurale seguito dall'amministrazione si tenta di rendere trasparente e verificabile il particolare rapporto che si viene ad istaurare tra pubblica amministrazione e soggetto privato, assicurando, da una parte, il più conveniente assetto contrattuale per l'amministrazione e, dall'altra parte, per il contraente privato la garanzia che l'amministrazione non operi favoritismi verso alcuno dei soggetti che partecipano alla selezione per l'affidamento dell'appalto.
L'attenzione dell'ordinamento alla regimentazione delle attività preordinate all'assegnazione dei contratti pubblici - o comunque il suo assoggettamento a criteri di imparzialità e correttezza amministrativa - deriva principalmente dal fatto che la scelta dell'operatore economico nell'ambito dell'attività contrattuale della p.a. attribuisce vantaggi dal punto di vista economico e di beni giuridici.
 
La penetrazione del diritto comunitario negli ordinamenti nazionali, inoltre, ha conferito alle regole dell'evidenza pubblica una finalità ulteriore di armonizzazione al fine di creare un mercato unico al quale tutti i soggetti interessati possano accedere con condizioni di partecipazione analoghe e non discriminatorie sulla base della nazionalità.
Tutte queste esigenze possono essere compresse in una generale necessità di tutela della concorrenza. Le discipline nazionali che regolano i settori degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture devono, quindi, garantire che l'affidamento degli appalti avvenga nel rispetto dei principi del Trattato CE e delle norme contenute nelle direttive comunitarie. Si può cogliere facilmente la complessità della materia degli appalti pubblici, caratterizzata, sul piano della regolazione, dalla sovrapposizione di fonti provenienti da ordinamenti diversi e, sotto il profilo sostanziale, dall'assenza di un modello uniforme idoneo per tutte le pubbliche amministrazioni.
 
Una prima osservazione va fatta in merito alla qualificazione strutturale della procedura ad evidenza pubblica. Secondo la tesi classica, dovuta al Giannini e assunta dalla letteratura come cardine della sistematica dei contratti pubblici, la procedura in analisi è concepita come un sistema a doppio binario, che unisce due procedimenti paralleli: il primo - definito serie negoziale - volto alla formazione della volontà contrattuale della pubblica amministrazione e retto dalle norme di diritto privato, rispetto al quale i singoli sono portatori di diritti soggettivi; il secondo - serie procedimentale - funzionale alla scelta del contraente e disciplinato da norme di diritto pubblico, a fronte del quale vengono determinate posizioni di interesse legittimo. In particolare, in questa seconda fase, l'autorità contraente è tenuta a spiegare le ragioni di interesse pubblico per le quali vuole addivenire o è addivenuta a quel contratto avente quel certo contenuto in modo da dare evidenza alle ragioni di interesse pubblico per le quali si sono adottate certe condizioni ed a controllarle.
 
La suddivisione del procedimento in due distinte serie è dovuta alle caratteristiche specifiche della capacità contrattuale dell'amministrazione pubblica. In tale capacità, infatti, convivono i tratti salienti attraverso i quali si manifesta l'autonomia negoziale nel senso proprio del diritto comune e la cura di interessi pubblici non coincidenti con quelli generalmente contemplati nel contratto di diritto privato, il cui contemperamento imprime un forte vincolo funzionale derivante dal rispetto delle regole sull'evidenza pubblica.
In questo senso, si attua la ripartizione tra attività amministrativa di diritto privato, nel senso appena descritto, e attività di spettanza necessaria della pubblica amministrazione, ovvero quella che l'organizzazione pubblica pone in essere per la cura in via immediata di interessi propri, non coincidenti con quelli della collettività.
 
Un orientamento dottrinale più recente, invece, distingue nell'evidenza pubblica una natura unitaria, composta da atti amministrativi idonei a produrre effetti negoziali, ma nel 2007 la Corte costituzionale, con la sentenza n. 401, ha implicitamente aderito alla teoria tradizionale, stabilendo che "l'attività contrattuale della pubblica amministrazione, essendo funzionalizzata al perseguimento dell'interesse pubblico, si caratterizza per la esistenza di una struttura bifasica: al momento tipicamente procedimentale di evidenza pubblica segue un momento negoziale" (Corte Cost. n. 401/2007, punto 6.8.).
 
Dal punto di vista ricostruttivo, in Italia il processo di recepimento della disciplina comunitaria sugli appalti ha incontrato innumerevoli forme di resistenza.
Tali comportamenti che hanno accompagnato nel nostro paese l'introduzione e l'attuazione dei principi comunitari in materia di liberalizzazione e di apertura alla concorrenza del settore delle commesse pubbliche, proteggono, nel brevissimo termine, l'industria nazionale, ma comportano danni notevoli nel più lungo periodo.
Il quadro normativo nazionale in vigore alla vigilia del recepimento delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE era formato da un'importante successione di atti legislativi e regolamentari.
Gli appalti e le concessioni di lavori pubblici erano disciplinati - sia sopra che sotto la soglia comunitaria - dalla Legge quadro 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni, nonchè dalle relative disposizioni di attuazione ed esecuzione, attuate anni dopo la legge quadro. Per le forniture, vi erano molte fonti normative per gli appalti sopra la soglia comunitaria e sotto la soglia, nonchè per le forniture in economia, mentre per i servizi esistevano unicamente la disciplina degli appalti sopra la soglia e dei servizi in economia.
Si ricorda che le competenze legislative in materia di appalti pubblici nell'ordinamento italiano hanno subito un cambiamento grazie all'introduzione della riforma dell'articolo 117 della Costituzione, realizzata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Antecedentemente a questa, infatti, gli appalti pubblici rientravano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, mentre il nuovo articolo 117 - attraverso il principio di sussidiarietà - ha ricavato un ruolo anche alle regioni.
Il mancato inserimento degli appalti pubblici tra le materie di competenza statale, esclusiva o concorrente, ha inizialmente fatto sorgere il dubbio che la materia fosse affidata alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni. La questione è poi stata chiarita dalla nota sentenza n. 303 del 1/10/2003 della Corte Costituzionale, la quale ha precisato che “la mancata inclusione dei ‘lavori pubblici' nell'elencazione dell'articolo 117 [...] non implica che essi siano oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni. Al contrario, si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell'oggetto al quale si riferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti. Di seguito, lo stesso giudice delle leggi ha osservato che le disposizioni relative all'acquisto di beni e servizi secondo procedure di evidenza pubblica hanno "un rilievo fondamentale per la tutela della concorrenza tra i vari operatori economici interessati alle commesse pubbliche" (sentenza n. 345 del 15 novembre 2004); conseguentemente, essendo la tutela della concorrenza riservata alla potestà legislativa dello Stato (articolo 117, comma 2, lettera e), sussiste una competenza esclusiva statale anche rispetto alla disciplina degli appalti pubblici.
Ciò non esclude la sussistenza di ambiti di potestà legislativa regionale. La Corte ha infatti ripetutamene chiarito che la tutela della concorrenza si caratterizza come una competenza trasversale e per la natura funzionale e quindi, nel momento in cui la tutela della concorrenza coinvolge ambiti di competenza regionale, l'intervento del legislatore statale deve essere contenuto entro limiti di adeguatezza e proporzionalità al fine di evitare un'illegittima compressione dell'autonomia delle Regioni.
 
Nel periodo in questione, anche la Corte di Giustizia e la Commissione europea sono più volte intervenute sul tema del recepimento delle direttive comunitarie nell'ordinamento nazionale.
Per quanto concerne la legge quadro sui lavori pubblici, la sentenza n. C-247/02 del 7 ottobre 2004 ne ha stabilito l'incompatibilità con la normativa comunitaria laddove l'aggiudicazione può avvenire soltanto sulla base del criterio del prezzo più basso, mentre il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa è applicabile soltanto in specifiche ipotesi. Le amministrazioni nazionali possono, infatti, comunque avvalersi del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa previsto dalla direttiva, anche disapplicando la normativa interna. L'adeguamento della normativa alla sentenza della Corte è stato inserito tra i criteri per l'esercizio della delega all'attuazione delle nuove direttive comunitarie, prevista dall'articolo 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004).
 
La stessa l. n. 62/2005 ha apportato varie modifiche alla legge n. 109/1994 per tenere conto dei rilievi sollevati dalla Commissione in merito al mancato rispetto dell'obbligo di adeguata pubblicità, derivante dal principio generale di trasparenza, per i lavori al di sotto della soglia comunitaria e alla definizione troppo ampia degli appalti di lavori nel diritto nazionale, che comporta la mancata pubblicazione su scala comunitaria di bandi di gara che dovrebbero essere pubblicati in base alle direttive sulle forniture e sui servizi, le cui soglie di rilevanza comunitaria sono assai meno elevate di quelle della direttiva lavori.
 
La delega al Governo per l'attuazione delle due direttive comunitarie 2004/17 (settori speciali) e 2004/18 (settori ordinari) del 31 marzo 2004, contenuta nell'articolo 25 della legge comunitaria 2004, ha infine previsto la compilazione di un testo unico recante le disposizioni legislative in materia di procedure di appalto disciplinate dalle due direttive, coordinando anche le altre disposizioni in vigore nel rispetto dei principi del Trattato. Tale previsione si concretizza con il Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163 - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
Il Codice dei contratti pubblici uniforma e razionalizza l'intera materia dei contratti pubblici, in particolare unificando discipline precedentemente distinte, introducendo elementi di semplificazione delle procedure e nuovi istituti di derivazione comunitaria precedentemente sconosciuti alla disciplina italiana degli appalti. Esso entra in vigore il 18 luglio 2006.
Inoltre, il comma 3 del richiamato articolo 25 delega il Governo ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore del Codice, disposizioni correttive ed integrative del medesimo. Conseguentemente vengono emanati tre decreti legislativi: il n. 6 del 26 gennaio 2007; il n. 113 del 31 luglio 2007 ed il n . 152 dell'11 settembre 2008. Quest'ultimo emanato a seguito della necessità di tenere conto non solo di alcuni rilievi in materia di concorrenza formulati dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia e della sentenza della Corte di Giustizia del 15 maggio 2008 (Cause riunite C-147/06 e C-148/06 - SECAP SpA e Santorso Soc. coop. arl contro Comune di Torino, avente ad oggetto in particolare gli appalti di lavori che non raggiungono le soglie previste dalle direttive 93/37/CEE e 2004/18/CE e gli obblighi dell'amministrazione aggiudicatrice derivanti dai principi fondamentali del diritto comunitario) sull'esclusione automatica delle offerte anomale nei contratti sottosoglia, ma anche dalla necessità di snellire alcune procedure non funzionali alle esigenze di trasparenza e apertura di mercato. Infine, il Codice dei contratti pubblici è oggetto di numerose modifiche nell'ambito di alcuni decreti-legge. Si tratta, per il 2011, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, che all'articolo 4 modifica numerose disposizioni del Codice e del Regolamento, riguardanti soprattutto i requisiti di partecipazione alle gare e del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, che innova la disciplina delle concessioni e della finanza di progetto, incentivando l'utilizzo di capitali privati, e tenta di favorire la partecipazione delle PMI nella realizzazione delle opere pubbliche. Nel 2012, invece, vengono emanati i decreti-legge 24 gennaio 2012, n. 1 e 9 febbraio 2012, n. 5: il primo interviene nuovamente sulla disciplina della finanza di progetto e delle concessioni di lavori pubblici e prevede norme riguardanti, tra le altre, l'approvazione dei progetti, il dialogo competitivo, nonchè l'introduzione del contratto di disponibilità; il secondo, all'articolo 20, reca importanti disposizioni allo scopo di disciplinare la Banca dati dei contratti pubblici e definire le procedure per la selezione dello sponsor per il finanziamento e la realizzazione degli interventi relativi ai beni culturali.
 
Il percorso normativo brevemente descritto è caratterizzato dal costante sforzo per provvedere a limiti e carenze del sistema degli appalti pubblici italiano che nel tempo sono emersi, come detto, soprattutto in forma di volontari comportamenti di amministrazioni aggiudicatrici e talvolta dello stesso legislatore, atti ad eludere le stringenti regole comunitarie.
Tali comportamenti hanno ostacolato la diffusione delle regole di aggiudicazione di tipo concorrenziale e contribuito all'elevata frammentazione del quadro normativo. L'estrema complessità e dispersione delle regole - derivante dalla sovrapposizione di interventi legislativi e regolamentari succedutisi in un arco di tempo superiore al secolo (i fondamenti generali della disciplina degli appalti pubblici in Italia sono contenuti nella legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. F) - ha, infatti, da una parte, favorito un'organizzazione dell'attività produttiva non efficiente e, dall'altra parte, reso meno trasparente l'esercizio dell'attività contrattuale dell'Amministrazione con grave pregiudizio dell'interesse pubblico e delle opportunità concorrenziali delle imprese. L'obiettivo del Codice dei contratti pubblici è in sostanza di fornire alle amministrazioni e agli operatori una legge organica contente principi e norme generali della materia
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Articolo redatto dal Dott. Riccardo Cerulli - 28/6/2016 - Serie di articoli dedicati all'assegnazione degli appalti pubblici