Il potere derogatorio riconosciuto alle ordinanze per appalti pubblici effettuati in interventi emergenziali si è tradotto nella frequente realizzazione di interventi sottratti in tutto o in parte alla disciplina del Codice dei contratti pubblici, in virtù dell’art. 5 della richiamata legge n. 225/1995 e dell’art. 5-bis, comma 5, del Decreto-legge n. 343/2001 relativo ai “grandi eventi”.

È opportuno ricordare il ruolo del procedimento ad evidenza pubblica, che nell’attività privatistica della pubblica amministrazione ha la funzione di evidenziare – in un momento di natura pubblicistica – l’iter motivazionale del provvedimento assunto in concreto dall’amministrazione.
Il potere di autonomia privata della pubblica amministrazione, infatti, deve sempre compiersi nel rispetto dei principi di legalità, imparzialità e tutela del terzo, nonché in conformità ai principi normativi che disciplinano l’azione amministrativa.
Quindi, i contratti stipulati dalla pubblica amministrazione sono sempre funzionali al perseguimento dell’interesse pubblico, impedendo in tal modo una totale libertà d’azione ed imponendo una procedura ad evidenza pubblica che evidenzi la coerenza e la legittimità della scelta in modo da consentire anche un sindacato che possa tutelare il contraente privato.
L’interesse pubblico, pertanto, costituisce un limite all’autonomia negoziale della p.a. e questa limitazione si traduce nell’obbligo di operare attraverso le procedure ad evidenza pubblica.
Prima dell’azione riformatrice del legislatore comunitario, l’interesse alla convenienza amministrativa (minore o migliore utilizzo delle sostanze pubbliche) rappresentava l’asse centrale della contrattualistica pubblica. La normativa comunitaria, invece, ha introdotto la disciplina della concorrenza come strumento per il raggiungimento del mercato unico attraverso la realizzazione delle quattro libertà fondamentali, di circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali, in virtù dell’art. 3, comma 1, lettere c) e g), comma 2, Trattato CE. A ciò si possono associare gli esiti scaturiti dall’applicazione del diritto antitrust – anch’esso di derivazione comunitaria – da parte degli Stati membri della UE, che si pone l’obiettivo di permettere a tutti gli operatori economici comunitari che agiscono fuori dai propri confini nazionali di confrontarsi senza posizioni di svantaggio, tanto nella fase di presentazione delle offerte, quanto nel momento in cui queste sono valutate dall’amministrazione aggiudicatrice; infatti, seppur tradizionalmente rivolta alle imprese, la disciplina antitrust oggi condiziona la normativa sulla concorrenza in tutti i paesi dell’Unione Europea.
 
La tutela della concorrenza è divenuta così fondamentale che i suoi principi sono stati trasfusi nella nostra Costituzione, in occasione della modifica del Titolo V del 2001, quando è stato previsto che la potestà legislativa fosse esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali e che tra le materie rientranti nella competenza esclusiva del legislatore statale vi fosse anche quella relativa alla «tutela della concorrenza» (Art. 117 Cost., comma 2, lett. E).
La stessa Corte Costituzionale si è espressa al riguardo: in un primo momento con la sentenza n. 272 del 2004, dove ha affermato che l’intervento dello Stato, ai fini della tutela della concorrenza, non deve essere rivolto solo a proteggere, ma anche a promuovere l’assetto concorrenziale del mercato; di seguito, con la sentenza n. 432 del 2008 in occasione della quale ha ribadito la necessità di evitare che uno sviluppo normativo a livello regionale possa avere effetti restrittivi della concorrenza ed ha sottolineato come sia necessario che gli Stati membri attivino ampi processi di liberalizzazione finalizzati ad abbattere progressivamente i privilegi che sicuramente ostano alla libera concorrenza ed alla libertà di entrata, soprattutto attraverso la prevenzione di adeguate procedure ad evidenza pubblica.
 
Sul tema dell’introduzione del principio di concorrenza negli appalti pubblici sono interventi nel tempo anche altri organi giurisdizionali. A livello comunitario, la Corte di Giustizia già nel 1999 parlava di una «concezione dell’interesse pubblico, inteso ora come strumento funzionale al mercato, ossia come passaggio necessario a garantire la piena operatività del gioco concorrenziale, quale valore da promuovere oltre che da tutelare» (Corte Giust., sentenza 16 settembre 1999, C-27/98. Dello stesso tenore la sentenza 12 dicembre 2002, causa C-470/99).
Nella stessa sentenza, il giudice comunitario allarga il campo di applicazione del principio della concorrenza anche al di fuori delle direttive dettate in materia di appalti, ovvero per gli appalti sotto-soglia e dei settori esclusi, per i quali si impone di «garantire, in favore di ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura degli appalti di servizi alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione».
Sulla stessa linea interpretativa si colloca il Consiglio di Stato secondo il quale si realizza una progressiva compenetrazione tra ordinamento comunitario ed ordinamento interno che non solo concretizza il principio di concorrenza, ma rappresenta inoltre l’evoluzione e l’aggiornamento della normativa nazionale in materia di contabilità pubblica, tradizionalmente orientata a garantire, in modo prevalente, la trasparenza delle scelte amministrative e quindi l’imparzialità dei soggetti pubblici (Cons. Stato, sez. IV, 6 ottobre 2004, n. 6491).
Di nuovo la Corte costituzionale – con la sentenza n. 401 del 19-23 novembre 2007 – è intervenuta sull’argomento, in linea con il Consiglio di Stato. Il giudice delle leggi, infatti, afferma che la nozione di concorrenza, riflettendo quella operante in ambito comunitario, include in sé sia interventi «di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto», sia interventi miranti a ridurre gli squilibri attraverso la creazione di condizioni per l’instaurazione di assetti concorrenziali.
In particolare, nella sentenza appena richiamata si evidenzia l’aspetto della tutela della concorrenza che si concretizza nell’esigenza di assicurare la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici del settore, in ossequio ai principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi. Si tratta di assicurare l’adozione di uniformi procedure di evidenza pubblica nella scelta del contraente, idonee a garantire, in particolare, il rispetto dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza.

 
Sul piano interno, l’osservanza di tali principi costituisce, tra l’altro, attuazione delle stesse regole costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento che devono guidare l’azione della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 97 Cost.. Deve, anzi, rilevarsi, come sia stata propria l’esigenza di uniformare la normativa interna a quella comunitaria, sul piano della disciplina del procedimento di scelta del contraente, che ha determinato il definitivo superamento della cosiddetta concezione contabilistica che qualificava tale normativa interna come posta esclusivamente nell’interesse dell’amministrazione, anche ai fini della corretta formazione della sua volontà negoziale. Inoltre, la Corte Costituzionale ha voluto precisare, sempre con la sentenza n. 401 del 2007, che «la nozione comunitaria di concorrenza che viene in rilievo in questa sede e che si riflette su quella di cui all’art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., è definita come concorrenza «per il mercato», la quale impone che il contraente venga scelto mediante procedure di garanzia che assicurino il rispetto dei valori comunitari e costituzionali sopra indicati».
In sostanza, gli interventi giurisprudenziali citati rappresentano l’emblema di una sempre maggiore forza espansiva dell’evidenza pubblica di matrice comunitaria con riferimento all’attività negoziale della pubblica amministrazione.
Addirittura, il Consiglio di Stato ha sottolineato che l’obbligo di rispettare i principi insiti nell’evidenza pubblica è valido ogniqualvolta che l’amministrazione, pur in assenza di una sua controprestazione, offra un’opportunità di “guadagno” ad un soggetto operante sul mercato (Cons. Stato, sez. VI, 10 gennaio 2007, n. 60). Secondo il giudice amministrativo, sono sottoposti ai principi comunitari, in materia di tutela della concorrenza, non solo i contratti “onerosi”, ma anche i contratti cosiddetti “altruistici” o “gratuiti”, con i quali le imprese, in vista di un tornaconto economico indiretto (in termini di pubblicità, di notorietà e presunta affidabilità), accettano di realizzare lavori, servizi o forniture senza alcun onere economico a carico della pubblica amministrazione. In tale ipotesi non rileva la figura dell’appalto (proprio perché il vantaggio dell’impresa non è a carico dell’amministrazione) ma quella del contratto gratuito che rappresenta, comunque, un’occasione di guadagno per l’impresa che lo stipula e, pertanto, emerge la necessità che la selezione del contraente avvenga nel rispetto dei principi di evidenza pubblica. Questa impostazione è stata più volte ribadita anche con riferimento all’attività negoziale della pubblica amministrazione allorquando si estrinseca in ambiti assolutamente particolari quali, ad esempio, il settore non profit.
Sempre il Consiglio di Stato, con specifico riferimento ai cosiddetti “contratti attivi” produttivi di un’entrata, in una recente sentenza (Cons. Stato, sezione VI, 19 maggio 2008, n. 2279) afferma che «è principio generale quello secondo cui, anche in assenza di specifica disposizione normativa che imponga l’adozione di procedure concorrenziali per la selezione del contraente privato, l’amministrazione deve osservare i fondamentali canoni della trasparenza, dell’imparzialità e della par condicio».

 
In altre parole, anche quando un soggetto pubblico non è direttamente tenuto all’applicazione di una specifica disciplina per la scelta del contraente, il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario, nonché dei principi generali che governano la materia dei contratti pubblici, impone all’amministrazione procedente di operare con modalità che preservino la pubblicità degli affidamenti e la non discriminazione delle imprese, grazie all’utilizzo di procedure competitive selettive (Vedi Cons. Stato, sez. VI, 15 novembre 2005, n. 6368). Altre sentenze, infine, indicano come sia aderente al principio dell’evidenza pubblica anche la fase di pubblicizzazione della gara al fine di consentire, con sufficiente anticipo, a tutti gli aspiranti contraenti di formulare un’adeguata offerta; questo principio deve trovare applicazione anche per i cosiddetti contratti “sotto soglia” (Cfr TAR Lazio, Roma, sez. I, 23 agosto 2006, n. 7375).
 
Un contributo determinante all’introduzione del principio della concorrenza di derivazione europea nell’ordinamento interno è arrivato dal principio della preminenza del diritto comunitario su quello nazionale. Tale principio impone che una norma interna contrastante con il diritto comunitario debba essere disapplicata da parte del giudice interno. Il principio della preminenza del diritto comunitario richiede, dunque, non solo al giudice, ma allo stesso Stato membro in tutte le sue articolazioni (e quindi a tutte le amministrazioni) di dare pieno effetto alla norma comunitaria e, in caso di contrasto, di abrogare la norma interna (Cfr. Consiglio di Stato VI 23 maggio 2006 n. 3072).
Più risalente la sentenza della Corte costituzionale n. 170 dell’8 giugno 1984, dove partendo dal presupposto che le norme dell'ordinamento comunitario hanno prevalenza su quelle degli ordinamenti nazionali, la Corte Costituzionale ha inoltre affermato che le prime vanno sempre applicate, con disapplicazione delle seconde, se confliggenti, tanto se queste sono previgenti che successive.
In sintesi, sulla base della richiamata giurisprudenza, l'eventuale contrasto tra la normativa di carattere nazionale o regionale (o anche rispetto a una clausola inserita in eventuali atti normativi di livello subordinato) e l'ordinamento comunitario si definisce con la disapplicazione della disciplina interna e il riconoscimento della conseguente invalidità degli eventuali atti applicativi. È importante sottolineare che all'obbligo della disapplicazione sono giuridicamente tenuti tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi, tanto se dotati di poteri dichiarativi del diritto – come gli organi giudiziari – quanto se privi di tale potere, come gli organi amministrativi, anche d'ufficio indipendentemente da sollecitazioni o richieste di parte.

 
La legge 4 febbraio 2005, n. 11 contiene «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari» la cui finalità è di disciplinare il processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell'Unione europea e garantisce l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, sulla base dei principi di sussidiarietà, di proporzionalità, di efficienza, di trasparenza e di partecipazione democratica. Obblighi che conseguono: a) all'emanazione di ogni atto comunitario e dell'Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione; b) all'accertamento giurisdizionale, con sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, della incompatibilità di norme legislative e regolamentari dell'ordinamento giuridico nazionale con le disposizioni dell'ordinamento comunitario; c) all'emanazione di decisioni-quadro e di decisioni adottate nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
Muovendo da tali premesse la Commissione europea ha avviato nei confronti dello Stato italiano alcune procedure d'infrazione sul presupposto che alcune ordinanze di protezione civile ex art. 5, comma 2, della legge n. 225 del 1992 si ponessero in contrasto con le norme comunitarie in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di servizi e di forniture.

 
Ad avviso della Commissione, la violazione della normativa comunitaria sarebbe derivata da due specifiche circostanze. In primo luogo, infatti, le ordinanze di protezione civile non sarebbero state supportate in molti casi da situazioni di estrema urgenza, in grado di giustificare il ricorso a procedure in deroga alla normativa comunitaria; in secondo luogo, in alcune delle situazioni emergenziali o di grande evento dichiarate dal Governo non sembrava rinvenirsi il presupposto dell'imprevedibilità, la sussistenza del quale sarebbe da considerarsi requisito indefettibile ai fini del legittimo ricorso a procedure di gara difformi da quelle previste dalla normativa comunitaria.
Al fine di chiudere la procedura di infrazione, il Governo ha adottato la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 ottobre 2004 («Indirizzi in materia di protezione civile in relazione all'attività contrattuale riguardante gli appalti pubblici di lavori, di servizi e di forniture di rilievo comunitario», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 298 del 21 dicembre 2004), nella quale si stabilivano gli indirizzi in materia di protezione civile in relazione all'attività contrattuale riguardante gli appalti pubblici di lavori, di servizi e di forniture di rilievo comunitario. La direttiva è stata emanata in applicazione dell’art. 5, comma 2, lettera e), della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, che prevede che possono essere adottate direttive necessarie per assicurare l'imparzialità e il buon andamento degli Uffici pubblici promuovendone le necessarie verifiche, e dell'art. 2 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che mantiene, tra l'altro, in capo allo Stato la funzione di assicurare l'esecuzione a livello nazionale degli obblighi derivanti dal trattato sull'Unione europea.
Obiettivo espresso dal Governo è stato quello di formalizzare «cogenti disposizioni volte ad assicurare che le future situazioni d'emergenza o di “grande evento” che dovessero essere dichiarate siano affrontate alla stregua di una normativa d'emergenza il più possibile coerente con i principi dell'ordinamento comunitario e anche al fine di limitare gli ambiti derogatori della normativa di rilievo comunitario».
Nel documento citato il Governo individua la necessità di disporre affinché le iniziative di carattere negoziale, straordinarie ed urgenti, da porre in essere per il superamento dei contesti emergenziali per i quali era intervenuta la dichiarazione dello stato di emergenza o di grande evento fossero condotte in armonia con la normativa comunitaria in materia di appalti pubblici, utilizzando, ove necessario, le procedure acceleratorie ivi previste, nella ricorrenza delle condizioni di urgenza stabilite per legge.

 
Si tiene conto, inoltre, delle situazioni d'emergenza o di grande evento già dichiarati al fine di porre in essere un'azione correttiva rispetto alle attività comunque da intraprendere per il superamento degli stessi contesti emergenziali (art. 2: «Le ordinanze di protezione civile previste dal l'art. 5, comma 2, della legge n. 225/1992, laddove ineriscano a situazioni di emergenza ed a «grandi eventi» ancora in atto, sono modificate nel senso di assicurare il rigoroso rispetto delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici di lavori di servizi e di forniture, sulla base di apposita ordinanza di protezione civile che deve essere emessa entro dieci giorni dalla data di adozione della presente direttiva»).
Merita particolare considerazione l’articolo 1 del DPCM 22 ottobre 2004, il quale prevede, al primo comma, che la durata degli stati di emergenza o di grande evento è definita in stretta correlazione con i tempi necessari per la realizzazione dei primi indispensabili interventi, e senza che la concessione di eventuali proroghe possa essere giustificata da situazioni di inerzia o da ritardi, comunque determinatisi, nella realizzazione degli adempimenti necessari.
Di seguito, al comma 2 si statuisce che le ordinanze di protezione civile adottate ai sensi dell'art. 5 comma 2 della legge n. 225 «non devono contenere deroghe alle disposizioni contenute nelle direttive comunitarie». Per rinforzare tale aspetto, si prevede, inoltre, che alla ricorrenza di situazioni di urgenza e di necessità aventi carattere di assoluta imperiosità, le ordinanze di protezione civile hanno la possibilità di prevedere la deroga alle disposizioni della legge nazionale nella materia degli appalti pubblici di lavori, di servizi e di forniture di rilevo comunitario nel rispetto, comunque, delle norme contenute nelle pertinenti direttive comunitarie (Art. 3, DPCM 22/10/2004). In via eccezionale, soltanto «nell'ipotesi di assoluta eccezionalità dell'emergenza, da valutarsi in relazione al grave rischio di compromissione dell'integrità della vita umana, il Capo del Dipartimento della protezione civile può essere motivatamente autorizzato a procedere ad affidamenti diretti in materia di appalti pubblici di lavori, di servizi e di forniture di rilievo comunitario, sempreché non sia possibile provvedere altrimenti, in termini di rigorosa proporzionalità, e soltanto per periodi di tempo prestabiliti, limitati alla adozione del primi indispensabili interventi» (art. 4).
Infine, viene precisato, all’art. 5, che i commissari delegati possono provvedere alle aggiudicazioni necessarie per il superamento delle situazioni d'emergenza, sulla base di ordinanze di protezione civile recanti la definizione puntuale della tipologia degli interventi e delle iniziative da adottarsi in deroga all'ordinamento giuridico vigente, nonché la specificazione di termini temporali e modalità di realizzazione.

 
Al DPCM 22 ottobre 2004, si associano numerosi provvedimenti sia dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture che della Magistratura civile, contabile e amministrativa, che hanno cercato di definire precisi limiti per il sistema emergenziale.
Più precisamente, con tali interventi, in primo luogo, sono stati definiti i presupposti per l’adozione delle ordinanze in esame, individuati nell’urgenza, intesa come indifferibilità dell’atto dovuta alla situazione di pericolo inevitabile che minaccia gli interessi pubblici; nella contingibilità, intesa come straordinarietà, accidentalità ed imprevedibilità e nella temporaneità, in quanto gli effetti del provvedimento devono essere limitati nel tempo, in stretta correlazione con la persistenza dello stato di necessità (Vedi Corte Costituzionale, sentenze n. 201/1987 e n. 127/95; Cons. Stato sentenza n. 197 del 3 febbraio 1998; Determinazione AVCP n. 20 del 30 luglio 2002). In secondo luogo, sono stati indicati i limiti di queste ordinanze individuati, oltre che nei principi generali dell’ordinamento, nella ragionevolezza e proporzionalità tra il provvedimento e la realtà circostante (In questi termini Corte Costituzionale, sentenza n. 127/1995; Cassazione Civile, Sez. Unite, sentenza n. 4813/2006; Consiglio di Stato, sentenza n. 1270/2006), nell’obbligo di motivazione (Cons. Stato, sentenza n. 197 del 3 febbraio 1998; Determinazione AVCP n. 21 del 5 aprile 2000; Corte Cost., sentenza n. 82 del 3 marzo 2006; Corte Cass. Civ. SS.UU., sentenza n. 4813 del 7 marzo 2006) ed eventuale pubblicazione nei casi in cui il provvedimento non sia a contenuto individuale.

 
Pur in presenza di queste indicazioni, è perdurata negli anni successivi la presenza di ingenti stanziamenti per le opere emergenziali, abbinati al permanere di deroghe sistematiche a numerose disposizioni del Codice dei contratti Pubblici.
È opportuno considerare che l’intero Codice è fondato sul rispetto dei principi essenziali di matrice comunitaria stabiliti dall’articolo 2 (economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità) e quindi ogni deroga può essere considerata come un deterioramento dell’assetto concorrenziale del mercato europeo che la struttura normativa tende a preservare.
Conseguentemente, la prassi derogatoria alla quale si è accennato si pone in contrasto con le indicazioni in merito al potere di deroga alla normativa primaria conferito ad autorità amministrative dotate di poteri di ordinanza, in base alle quali la facoltà di deroga ha natura straordinaria ed è strumentale alla soluzione della situazione di pericolo, indi per cui non può compiersi nei confronti di prescrizioni di diretta attuazione di principi comunitari, né nei confronti delle disposizioni riguardanti il controllo e la vigilanza sui contratti pubblici, essendo in difetto del nesso di congruità e proporzione tra la qualità e la natura dell’evento calamitoso che richiede un’azione immediata e le misure concretamente adottate per fronteggiarlo.
Le indicazioni provengono da fonti normative ad amministrative nazionali, sempre ispirate dalle chiare indicazioni provenienti dalla Commissione Europea. L’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture è intervenuta in più riprese già dall’inizio del millennio, con la Determinazione n. 21 del 5 aprile 2000 («Incarichi affidati a dipendenti pubblici da parte di Commissari straordinari per la protezione civile implicanti compensi aggiuntivi"Art. 18 legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni»). Sono seguite le determinazioni n. 20 del 30 luglio 2002 («Procedure in deroga all'art. 17 della legge 11 febbraio 1994 n. 109 e s.m. in forza di ordinanze contingibili ed urgenti in materia di protezione civile»), la n. 1 del 14 gennaio 2004 («Ordinanze sindacali contingibili ed urgenti per motivi di sicurezza pubblica») e la n. 4 del 21 aprile 2004 («Appalto di lavori pubblici a trattativa privata, ai sensi di leggi speciali ed ordinanze di emergenza, emanate in occasione di eventi calamitosi»), dalle quali emerge con chiarezza l’orientamento per cui «le ordinanze di un Commissario di Governo per la protezione civile, adottate sulla base di una potestà di ordinanza che consente di derogare alle norme vigenti, non possono discostarsi dai principi generali e debbono inoltre contenere specifica motivazione e indicazione delle norme a cui derogano», ed ancora «[…] l’adozione di ordinanze contingibili ed urgenti da parte del sindaco, contenenti deroghe alla normativa sui lavori pubblici, incontra dei limiti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, dei canoni di ragionevolezza e di proporzionalità tra il provvedimento e la situazione oggettiva considerata […]; il potere derogatorio delle ordinanze contingibili ed urgenti, non può essere esercitato nei confronti delle norme riguardanti il controllo e la vigilanza sull’esecuzione degli stessi, mancando il nesso di strumentalità tra esigenza di tempismo e procedimento di controllo secondo la normativa vigente». Posizione ribadita in occasione delle Relazioni Annuali al Parlamento del 2007, del 2009 e del 2010 e nella citata Segnalazione al Governo ed al Parlamento dell’aprile 2008.

 
Per quanto di interesse per la fattispecie di cui trattasi, inoltre, la richiamata Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 ottobre 2004 ha specificato che le ordinanze di protezione civile ex art. 5, comma 2 della Legge 225/92 non devono contenere deroghe alle disposizioni previste dalle direttive comunitarie, salvo poi specificare che le ordinanze inerenti situazioni di emergenza e “grandi eventi” ancora in atto, sono modificate nel senso di assicurare il rispetto delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture ed altresì, nel caso di situazioni di urgenza e necessità aventi carattere di assoluta imperiosità, le suddette ordinanze potranno prevedere deroghe alle disposizioni nazionali nella materia degli appalti pubblici, nel rispetto, comunque, delle norme contenute nelle pertinenti direttive comunitarie.
 
Il nesso di congruità e proporzione tra la qualità e la natura dell’evento calamitoso che richiede un’azione immediata e le misure concretamente adottate per fronteggiarlo – richiamato già dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 127 del 14 aprile 1995 – è dunque «principio materiale al cui rispetto deve comunque piegarsi il potere di ordinanza e soltanto la sua sussistenza può giustificare la deroga di atti normativi primari quali le leggi fondamentali in materia di urbanistica, edificabilità dei suoli, lavori pubblici ed espropriazione» (Segnalazione AVCP al Governo ed al Parlamento 2 aprile 2008 – «Oggetto: Ordinanze per l’attuazione degli interventi di emergenza; deroga alle disposizioni di cui agli Art. 6 e 7 del d.Lgs n.163/2006 in tema di Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture», pag. 4).
Tra le disposizioni del Codice dei contratti pubblici più di frequente derogate si rinvengono quelle relative agli strumenti ordinari di controllo, alla figura del responsabile del procedimento, alle fasi delle procedure di affidamento, alla qualificazione necessaria per eseguire i lavori, alle procedure di scelta del contraente, alle modalità di pubblicazione dei bandi ed ai relativi termini, ai criteri di selezione delle offerte e verifica delle offerte anormalmente basse, alla progettazione, alle garanzie in fase di gara ed esecuzione ed ai subappalti.

Ogniqualvolta la deroga alle disposizioni ha interessato gli articoli 6 (Rubricato «Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture») e 7 (Rubricato «Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture») del Codice dei contratti pubblici, che disciplinano, rispettivamente, il ruolo e le funzioni dell’AVCP e gli obblighi in materia di pubblicità degli affidamenti e trasmissione di dati all’Osservatorio dei contratti pubblici, si è verificata una forte compressione dei poteri di controllo dell’Autorità di Vigilanza. La disciplina derogatoria, infatti, dovrebbe avere come scopo esclusivo la garanzia della semplificazione e dell’alleggerimento delle procedure e non altresì nuocere ad una potenziale verifica concernente l’ottemperanza a regole cardine quali il possesso delle certificazioni, oppure l’assolvimento degli obblighi contributivi o il rispetto della normativa sull’impiego della mano d’opera e della sicurezza, ovverosia taluni ambiti di intervento propri dell’azione di vigilanza dell’Autorità; si pensi alla verifica, tra l’altro, dell’importo degli appalti, della durata degli stessi in vigenza dello stato di emergenza o del limite stabilito dal concretizzarsi dell’evento, del dovuto possesso delle prescritte qualificazioni e/o requisiti e delle varianti intervenute.
A maggior ragione, il parere espresso dall’Autorità di vigilanza – non vincolante – non può costituire un onere pendente sulla procedura di scelta del contraente ed in genere del procedimento per addivenire alla stipula del contratto e alla realizzazione dell’opera per via del suo carattere non obbligatorio.
In considerazione di quanto riportato, in merito al regime derogatorio inerente la normativa sui contratti pubblici di cui al d.lgs. 163/2006 non è ammissibile la deroga agli artt. 6 e 7 del succitato testo legislativo disciplinante l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, in quanto la stessa Autorità non ostacola quelle che sono le finalità sottese dalle ordinanze volte allo snellimento delle procedure di appalto, ma garantisce il rispetto dei principi generali dell’ordinamento che non possono in alcun caso essere derogati (Segnalazione AVCP al Governo ed al Parlamento 2 aprile 2008, Conclusione. In giurisprudenza Vedi Consiglio di Stato, Sezione VI - Sentenza 24/12/2009 n. 8720; Consiglio di Stato, Sezione V - Sentenza 04/08/2009 n. 4906).

Nonostante i vincoli posti, si può facilmente riscontrare la deroga agli articoli 6 e 7 del d.lgs. 163/2006 in numerose ordinanze emergenziali, alcune delle quali anche piuttosto recenti. Il riferimento è, in particolare, all’ordinanza del Capo del Dipartimento per la Protezione Civile (con le modifiche apportate al comma 2, art. 5, della 24 febbraio 1992, n. 225 dal decreto legge 7 maggio 2012, n. 52 “Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica” le ordinanze sono emanate non più dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ma direttamente dal Capo del Dipartimento per la Protezione Civile, il quale, nell’ambito di un potere di ordinanza disciplinato con la delibera dello stato di emergenza emanata dal Consiglio dei Ministri, anche su richiesta del Presidente della regione o delle regioni territorialmente interessate e acquisita la loro intesa, tendenzialmente si avvale delle componenti e delle strutture operative del medesimo Servizio) n. 134 del 26 novembre 2013, emanata al fine di intervenire all’indomani delle forti piogge che interessarono la regione Toscana nell’ottobre del 2013. Analizzando le altre ordinanze contenenti le deroghe agli articoli 6 e 7 del Codice dei contratti pubblici, si può da ultimo osservare come gli ambiti di interventi non siano affatto omogenei. Si è intervenuto, infatti, per affrontare la situazione nell'area archeologica di Roma300; per porre rimedio agli eventi sismici che hanno colpito L’Aquila ed altri Comuni dell’Abruzzo nell’aprile 2009; per l'emergenza legata all'incidente ferroviario nella stazione di Viareggio nello stesso anno; per l'emergenza traffico e mobilità nelle Province di Treviso e Vicenza; per fronteggiare la situazione di emergenza conseguente all'eccessivo affollamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale304 e per la chiusura della discarica di Malagrotta a Roma.
Per quanto concerne il responsabile del procedimento, la norma di riferimento è l’articolo 10 del Codice degli appalti pubblici, in base al quale per ogni singolo intervento da realizzarsi mediante un contratto pubblico, le amministrazioni aggiudicatrici nominano, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241 (disciplinato dagli artt. 4 e seg.), un responsabile del procedimento – unico per le fasi della progettazione, dell’affidamento e dell’esecuzione – specificando, inoltre, che egli svolge tutti i compiti relativi alle procedure di affidamento e alla vigilanza sulla corretta esecuzione dei contratti.

Per le procedure di affidamento e di realizzazione degli appalti pubblici, quindi, vi sarebbe una deroga all’ordine legale delle competenze, nel senso che tutti i poteri decisionali spettanti alla stazione appaltante non espressamente conferiti ad altri soggetti sarebbero esercitati dal responsabile del procedimento, a prescindere dal fatto che egli sia o meno dirigente.
Il legislatore del Codice ha inserito nel settore degli appalti pubblici – in particolare nel procedimento ad evidenza pubblica – una figura disciplinata nell’ambito della materia generale del procedimento amministrativo, sulla base del principio di trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione.
Il ruolo del responsabile del procedimento appare quindi nevralgico per la corretta gestione dell’intero appalto, come risulta anche dalle mansioni assegnate dal comma 3 del citato art. 10. L’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici ha specificato che il ruolo del responsabile del procedimento all’interno dell’iter realizzativo dell’opera pubblica è quello di project manager, quindi di fornire impulso al processo, e che la capacità richiesta è soprattutto organizzativa e propositiva (determinazione AVCP n. 10 del 23 febbraio 2001).
La stessa AVCP ne ha ulteriormente chiarito ed allargato i compiti. Il responsabile del procedimento, infatti, deve coordinare la tempistica dell’appalto (deliberazione AVCP n. 10 del 26 gennaio 2011 – fascicolo n. 460/2010: «il Responsabile del procedimento e la Direzione lavori devono vigilare con attenzione sul rispetto del crono-programma progettuale e mettere in atto tutte le misure in loro potere per consentire la realizzazione dell’opera nei tempi prefissati»), ottenere «tutte le approvazioni ed autorizzazioni di legge necessarie ad assicurare l’immediata cantierabilità del progetto» - deliberazione AVCP n. 16 del 9 febbraio 2011. La pubblicazione del bando di gara senza avere ottenuto tutti i pareri necessari per l’esecuzione dei lavori contrasta con l’art. 47 del DPR 554/99, che prescrive che il RUP deve ottenere tutte le approvazioni ed autorizzazioni di legge necessarie ad assicurare l’immediata cantierabilità del progetto. Tale disposizione normativa tende proprio a evitare che dopo l’aggiudicazione dei lavori possano manifestarsi cause che comportino la necessità di redigere una perizia di variante) ed occuparsi della validazione del progetto prima della sua approvazione.
Più esattamente, la validazione avviene mediante il riscontro della conformità alla normativa vigente e in particolare della «completezza, adeguatezza e chiarezza degli elaborati progettuali»; pertanto, ove il progetto risulti, poi, non esecutivo e non eseguibile, sorge la responsabilità a carico dell'amministrazione. Si vedano, in tal senso, il Lodo Arbitrale di Roma 16/01/2007 n. 4/07 e il Lodo 28/06/2011 n. 69/2011. Le stazioni appaltanti hanno l’obbligo di procedere all’affidamento dei lavori sulla base di progetti esecutivi redatti e validati in conformità alla normativa vigente. In sede di validazione del progetto esecutivo il responsabile del procedimento ha l’obbligo di verificare in contraddittorio con le parti che tale progetto sia conforme alla disciplina vigente. In materia di appalti di opere pubbliche vige infatti il principio generale della indifferibilità e completezza del progetto sulla base del quale tali opere devono essere realizzate.
Lo stesso responsabile del procedimento, infine, è tenuto a verificare la natura del contratto posto in essere tra subappaltatore e sub affidatario (deliberazione AVCP n. 43 dell’8 luglio 2010).

 
Anche in questo caso, le deroghe all’art. 10 del Codice dei contratti pubblici si presentano in numerose ordinanze di necessità ed urgenza (Vedi OPCM 3632 del 23/11/2007 - Disposizioni per lo svolgimento del grande evento relativo al 150° Anniversario dell'Unità d'Italia; OPCM 3747 del 12/3/2009, cit.; OPCM 3800 del 6/8/2009, cit.; OPCM 3861 del 19/3/2010, cit e OCDPC 134 del 26/11/2013 - Primi interventi urgenti di protezione civile per le eccezionali avversità atmosferiche di ottobre 2013 nella regione Toscana), violando soprattutto i principi di trasparenza e di buon andamento della p.a. che tale articolo ha il compito di preservare.
In questo senso, di particolare interesse risulta la Deliberazione AVCP n. 62 del 22 giugno 2011, secondo la quale qualora vi siano ragioni di urgenza, subito dopo l’aggiudicazione definitiva, il responsabile del procedimento può autorizzare il direttore dei lavori alla consegna dei lavori, ma «deve trattarsi di un’urgenza qualificata e non generica tale da potersi ritenere che il rinvio dell'intervento per il tempo necessario all’approvazione del contratto comprometterebbe, con grave pregiudizio dell’interesse pubblico, la tempestività o l’efficacia dell'intervento stesso».
La deliberazione in oggetto testimonia il tentativo, da parte degli organi di competenza, di formalizzare procedure adeguate alla gestione di situazioni di contingenza, riferendosi comunque ad una urgenza “qualificata e non generica” in grado di giustificare il mancato rispetto delle procedure ad evidenza pubblica. A dispetto dell’intervento dell’AVCP, però, come già anticipato, la norma in analisi ha continuato a subire svariate deroghe.

 
Rimanendo nel campo delle disposizioni comuni del Codice, si deve evidenziare la costante deroga all’articolo 11, relativo alle fasi delle procedure di affidamento. L’articolo è particolarmente importante in quanto definisce in termini generali i momenti chiave dell’evidenza pubblica, richiamando le norme specifiche di seguito contenute.
L’articolo 11 è un presidio dei principi di eguaglianza e, soprattutto, del principio di autonomia contrattuale della pubblica amministrazione. Quest’ultima, infatti, al fine di garantire l’uniformità di trattamento della disciplina degli appalti pubblici nell’intero territorio nazionale, si pone in una posizione di tendenziale parità con la controparte ed agisce nell’esercizio non di poteri amministrativi, bensì della proprio autonomia negoziale.
Al principio di eguaglianza fa da corollario il principio della par condicio. Il Consiglio di Stato (sentenza n. 6292 del 17 dicembre 2008), valutando l’ipotesi della ratifica di un contratto concluso da un rappresentante senza averne i poteri (art. 1399 c.c.), ha specificato che la norma in questione è volta a regolare i soli rapporti tra privati, mentre nei contratti ad evidenza pubblica operano norme dirette alla tutela di un interesse pubblico generale e del principio della par condicio, senza possibilità di esenzione dalla loro osservanza.
Necessariamente, sempre secondo il Consiglio di Stato, le stesse norme devono essere considerate imperative, per cui la loro violazione non può essere suscettibile di sanatoria attraverso una successiva produzione documentale o la valutazione del comportamento successivamente tenuto, salvo che una specifica norma pubblicistica non lo preveda.
In più, il dettato dell’articolo 11 contribuisce alla tutela del principio cardine della concorrenza, limitandone l’introduzione di elementi distorsivi, mentre al comma 9 si esprime il principio di autotutela della pubblica amministrazione: non è infatti precluso alla stazione appaltante di procedere alla revoca o all'annullamento dell'aggiudicazione allorché la gara stessa non risponda più alle esigenze dell'ente e sussista un interesse pubblico, concreto ed attuale, all'eliminazione degli atti divenuti inopportuni, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse dell'aggiudicatario nei confronti dell'amministrazione. Il principio generale dell'autotutela della pubblica amministrazione, che rappresenta una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo, è direttamente connesso ai criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica (TAR Roma, Sezione II ter - sentenza n. 11146 del 9 dicembre 2008). L’esercizio di tale potere deve scontare un'istruttoria ed una motivazione conformi a canoni di coerenza, logicità e congruità nonché immuni da travisamento dei fatti (TAR Latina, sez. I, 17 maggio 2007, n. 375). Più di recente, Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza n. 780 del 3 febbraio 2011, sul potere di autotutela si esprime nei seguenti termini: «l’ordinamento da un lato apprezza con favore il ritorno alla legalità, prevedendo i poteri di autotutela dell’Amministrazione, dall’altro non prende in favorevole considerazione – sotto il profilo di possibili pretese risarcitorie - la posizione di coloro che, coinvolti nella trattativa privata o nella gara finalizzate alla stipula del contratto che si rilevi contra legem, abbiano consapevolmente o colposamente aderito alla iniziativa illegittima dell’Amministrazione».

 
Come già affermato, anche l’articolo 11 del d.lgs. 163/06 viene spesso inserito nelle deroghe delle ordinanze emergenziali e tale prassi si può verificare anche nell’attualissimo DPCM 22 gennaio 2014 (Misure urgenti in materia di riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche di cui all'articolo 18, commi 8 e 8-ter del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98. Commissari governativi).
L’articolo 13 del Codice, infine, risulta altresì spesso derogato tra le disposizioni comuni del Titolo I. L’articolo – rubricato «Accesso agli atti e divieti di divulgazione» – delinea una complessa operazione di bilanciamento tra gli interessi contrapposti alla trasparenza ed alla riservatezza: l’impresa che ha partecipato ad una gara di appalto può richiedere l’accesso alla documentazione della gara stessa dopo il suo espletamento in virtù del diritto di chi ha partecipato alla gara di conoscere le modalità di svolgimento della procedura e le determinazioni adottate in proposito dalla pubblica amministrazione. Intervengono, quindi, da una parte il principio della segretezza delle offerte e, dall’altra parte, i principi di pubblicità e di non discriminazione tra le imprese concorrenti.

Il giudice amministrativo è più volte intervenuto per definire tale bilanciamento, chiarendo che l’impresa partecipante ad una procedura concorsuale per l’aggiudicazione di un appalto pubblico può accedere nella forma più ampia agli atti del procedimento di gara, compresa l’offerta presentata dall’impresa aggiudicataria, senza che possano essere opposti motivi di riservatezza, sia perché una volta conclusasi la procedura concorsuale i documenti prodotti dalle ditte partecipanti assumono rilevanza esterna, sia in quanto la documentazione prodotta ai fini della partecipazione ad una gara di appalto indetta dalla p.a. esce dalla sfera esclusiva delle imprese per formare oggetto di valutazione comparativa essendo immessa in un procedimento caratterizzato dai principi di concorsualità e trasparenza (ex multis, Consiglio di Stato, VI sezione – sentenza n. 3418 del 7 giugno 2006; TAR Lazio, III sezione – sentenza n. 2212 del 4 aprile 2006; TAR Campania, V sezione – sentenza n. 3032 del 27 marzo 2003).

Nell’ambito dei contratti esclusi in tutto o in parte dall’applicazione del Codice (Titolo II, d. lgs. n. 163/2006), si segnalano inoltre le deroghe agli articoli 17 («Contratti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza») e 18 («Contratti aggiudicati in base a norme internazionali»).
Proseguendo la disamina delle deroghe al Codice degli appalti pubblici, di particolare importanza si presenta la deroga all’articolo 34, rubricato «Soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici», rientrante nel Titolo I, Capo II - «Requisiti dei partecipanti alle procedure di affidamento». La norma è ispirata dall’esigenza di tutelare la corretta esplicazione del confronto concorrenziale, nel rispetto dei principi di segretezza, serietà ed indipendenza delle offerte (TAR Lombardia, II sezione – sentenza n. 2931/2006). In più, il monitoraggio sui soggetti ammessi alla partecipazione alla gara permette, in primo luogo, di verificare la compatibilità di eventuali agevolazioni connesse a tali soggetti con i principi posti a tutela della concorrenza ed in tema di aiuti di Stato (così, ex multis Corte di Giustizia, causa C-222/04 del 10 gennaio 2006) e, in secondo luogo, di valutare se vi siano imprese in situazioni di collegamento sostanziale tale da violare i principi generali in materia di pubbliche gare.
In quest’ultima evenienza è prioritaria l’esigenza di assicurare l’effettività e l’efficace tutela della regolarità della gara ed in particolare la par condicio fra tutti i concorrenti, la compiutezza, autenticità e indipendenza delle offerte formulate, in modo da evitare che attraverso meccanismi di influenza societari possa essere manipolata la scelta dell’offerta più opportuna. Peraltro, i principi della par condicio e della segretezza delle offerte che assicurano il gioco della libera concorrenza e del libero confronto postulano necessariamente che fra i concorrenti ad una gara non venga in rilievo una relazione idonea a consentire un flusso di informazioni in merito alla fissazione dell’offerta (il Consiglio di Stato è intervenuto sul tema già nel 2001, con la sentenza n. 6424 del 18 dicembre e, più recentemente, nel 2006 con la sentenza n. 2612 dell’11 maggio).

In tema di qualificazione necessaria per eseguire i lavori, il combinato degli articoli 40, 41 e 42 è funzionale a garantire qualità, professionalità e correttezza dei soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici.
In particolare, l’art. 40 disciplina il sistema di qualificazione e la relativa attività di attestazione, esercitata nel rispetto dei principi di indipendenza di giudizio, di proporzionalità e del contraddittorio. Nella Sentenza n. 1334 del 14 aprile 2010, il TAR di Bari ha ulteriormente precisato che in materia di accertamento dei requisiti per il conseguimento degli appalti, vige il principio secondo cui le qualificazioni richieste dal bando debbono essere possedute dai concorrenti non solo al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, ma anche in ogni successiva fase del procedimento di evidenza pubblica e per tutta la durata dell’appalto, senza soluzione di continuità. Detto principio risponde ad esigenze di certezza e funzionalità del regime di qualificazione obbligatoria, imperniato sul rilascio da parte degli organismi di attestazione di certificati che costituiscono condizione necessaria e sufficiente per l’idoneità ad eseguire lavori pubblici.

Per quanto concerne gli articoli 41 e 42, essi hanno l’obiettivo di garantire livelli sufficienti, rispettivamente, di capacità finanziaria e di abilità tecniche e professionali dei fornitori e dei prestatori di servizi329, nel rispetto dei principi di proporzionalità, adeguatezza, ragionevolezza e del favor partecipationis (c.d. principio della massima partecipazione alle gare di appalto).
Numerosi interventi giurisprudenziali hanno definitivamente chiarito che la stazione appaltante è dotata del potere discrezionale di fissare requisiti di partecipazione e di qualificazione ad una singola gara più gravosi di quelli previsti dalla legge – in relazione alle peculiari caratteristiche oggettive ed all’importanza del servizio da affidare – purché tali ulteriori prescrizioni siano rispettose dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo da non limitare indebitamente l’accesso alla procedura delle imprese interessate. Detto potere, che costituisce precipua attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, può tradursi anche nella richiesta di dimostrazione del possesso di adeguata capacità economico-finanziaria, correlata allo specifico importo dell’appalto ed alla sua durata, ed è ampiamente discrezionale, sicché il sindacato del giudice amministrativo deve limitarsi alle ipotesi di manifesta irragionevolezza ed illogicità (cfr. Cons. Stato, IV sezione – sentenza n. 6972; Id., V sezione – sentenza n. 9305 del 31 dicembre 2003; TAR Bari, I sezione – sentenza n. 589 del 9 giugno 2011 e TAR Napoli, I sezione – sentenza n. 471 del 26 gennaio 2011).

Ulteriori interventi riguardano il divieto di commistione tra requisiti di partecipazione alla gara e criteri di valutazione dell'offerta, onde evitare che l’espletamento della pubblica gara risulti alterato dalla conoscenza, ex ante, da parte della stazione appaltante del peso economico–finanziario delle società partecipanti, con frustrazione tanto del principio di trasparenza e di tutela della par condicio dei concorrenti, quanto del principio di massimizzazione del risultato utile conseguibile dalla pubblica amministrazione (Consiglio di Stato, V sezione – sentenza n. 912 del 4 marzo 2008; Id. sentenza n. 1194 dell’8 marzo 2006; Id. sentenza n. 1993 del 16 aprile 2003; TAR Latina, I sezione I – sentenza n. 775 del 24 giugno 2008 n. 775).
Un recente intervento del TAR di Roma (TAR Roma, sezione II quater – sentenza n. 2505 del 17 gennaio 2011) ha, inoltre, sancito che «la capacità economico-finanziaria costituisce requisito indispensabile di partecipazione alle gare per l’affidamento degli appalti pubblici di servizi e non può ragionevolmente ammettersi che le ditte partecipanti ne siano prive, poiché ciò contrasterebbe con i principi costituzionali di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’azione
amministrativa, rendendo l’Amministrazione appaltante arbitra dell’aggiudicazione senza alcuna possibilità di controllo da parte degli stessi partecipanti e mettendo a rischio l’esecuzione dell’appalto per l’eventuale inidoneità della ditta aggiudicatrice».

Nonostante l’importanza della qualificazione essenziale per l’esecuzione di appalti pubblici, in molti casi ordinanze emergenziali contengono deroghe agli articoli 40, 41 e 42 complessivamente considerati.
Lo stesso accede per il controllo sul possesso dei requisiti e per l’istituto dell’avvalimento. Il primo, disciplinato dall’art. 48 del d.lgs. 163/06, intende presidiare il principio costituzionale di buon andamento ed il principio di eguaglianza, mentre il secondo è teso al rispetto del principio della massima accessibilità al mercato delle commesse pubbliche.
Ugualmente richiamata tra le deroghe al Codice dei contratti pubblici vi è di frequente la Sezione I – Oggetto del contratto e procedure di scelta del contraente – del Capo III, Titolo I – Contratti di rilevanza comunitaria. Dalla sezione richiamata, tra gli articoli maggiormente sottoposti a deroga si osservano in numero 53, il quale regola tipologia e oggetto dei contratti ed i numeri 55, 56 e 57 che espongono le tipologie di procedura di scelta del contraente ammesse dal Codice. Come già descritto nel capitolo precedente, tali procedure si distinguono in aperte, ristrette e negoziate. Di particolare rilevanza è la deroga all’art. 57, disciplinante la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara.
Quest’ultima si sostanzia in una vera e propria trattativa privata e rappresenta un’eccezione al principio generale della pubblicità e della massima concorsualità che domina la materia degli appalti pubblici.
Si richiama alla considerazione del lettore che quella dell’art. 57 è già di per sé procedura eccezionale, giustificata solamente al ricorrere di un’estrema urgenza, risultante da fatti improvvisi per le stazioni appaltanti, non compatibili con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette e negoziate previa pubblicazione di un bando di gara (Consiglio di Stato, V sezione - sentenza n. 8006 del 10 novembre 2010 e TAR Catania, II sezione - sentenza n. 524 del 1 marzo 2011. Per quanto riguarda l’urgenza di provvedere, essa non deve essere addebitabile in alcun modo all’amministrazione per carenza di adeguata organizzazione o programmazione ovvero per la sua inerzia o responsabilità; Consiglio Stato, V sezione - sentenza n. 2882 dell’11 maggio 2009 e Id. sentenza n. 5996 del 27 ottobre 2005).
Per avvalersi della procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, infatti, la p.a. deve accertare con il massimo rigore la sussistenza di determinati presupposti e, soprattutto, che siano fatti salvi i canoni generali di ragionevolezza e di perseguimento dell’interesse pubblico.
Sebbene la procedura in questione sia di natura eccezionale l’amministrazione è comunque tenuta a rispettare i principi comunitari e nazionali di trasparenza, concorrenza e par condicio.

Alla luce delle caratteristiche sopra esposte, la deroga all’art. 57 del Codice mostrano la volontà del governo, in situazioni di emergenza, di non avvalersi quasi in toto delle procedure ordinarie espresse nel codice, neanche di quelle predisposte ad intervenire nella misura più elastica possibile. Così facendo, però, si rischia di allontanarsi definitivamente dai principi cardine contenuti tanto dalle norme di emanazione comunitaria, quanto dalle leggi nazionali.
Nell’insieme di deroghe oggetto dell’analisi fin qui operata vanno addizionate quelle relative alle modalità di pubblicazione dei bandi e relativi termini (D. lgs. n. 163/2006, Sezione II – Bandi, avvisi, inviti – artt. 63 – 69).
Le norme citate hanno lo scopo di salvaguardare, a livello generale, i principi di trasparenza, libera concorrenza e par condicio, di adeguata pubblicità, di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa; a tal proposito, la Determinazione AVCP n. 3 del 17 gennaio 2007: «Il principio costituzionale del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa trova applicazione nella tutela dell’affidamento incolpevole dei concorrenti ad una gara di appalto che in buona fede hanno tenuto un determinato comportamento basandosi su informazioni, documentazioni o pubblicazioni esibite dall’amministrazione anche tramite pubblicazione informatica. Pertanto, ove a causa di un errore imputabile alla stazione appaltante in ordine ad errate indicazioni sul sito istituzionale, un concorrente abbia presentato la domanda di partecipazione ad una gara fuori tempo utile, detto errore non può avere effetti sul concorrente in buona fede e dunque l’offerta deve essere ammessa alla procedura selettiva».

Si segnalano, oltre a ciò, l’articolo 65 – Avviso sui risultati della procedura di affidamento – atto a realizzare il principio di simmetria tra avviso di gara e avviso di post informazione (per gli appalti “sopra soglia” comunitaria l’avviso sui risultati delle procedure di affidamento segue il medesimo iter di pubblicazione del relativo bando di gara) e l’articolo 68 – Specifiche tecniche – il quale sancisce al comma 4 il principio di equivalenza, in virtù del quale non può essere escluso dalla gara l’operatore economico che offra un prodotto che, seppur corrispondente ai requisiti di natura tecnica indicati dalla lex specialis, garantisce comunque la medesima prestazione ed il medesimo risultato prodotto dalla stazione appaltante.
Sul tema copiosi sono gli interventi sia giurisprudenziali sia di prassi: Parere di Precontenzioso AVCP n. 100 del 5 giugno 2013; Parere di Precontenzioso AVCP n. 111 del 27 giugno 2012 («In sede di presentazione della domanda di partecipazione ad una gara d'appalto pubblico, opera il c.d. principio di equivalenza, avente la funzione di garantire e promuovere la maggior apertura concorrenziale»); TAR Valle d'Aosta - sentenza n. 59 del 14 settembre 2011 («Il principio dell'"equivalenza" si ricava dalla lettera dell'art. 68 del codice degli appalti, ove è prescritto che i documenti del contratto, quali il bando di gara, il capitolato d'oneri o i documenti complementari devono dettagliatamente indicare le specifiche tecniche richieste, senza però individuare una specifica fabbricazione o provenienza, al fine di evitare la ingiustificata restrizione della rosa dei partecipanti alla gara, con nocumento all'interesse pubblico sotteso alla più ampia partecipazione alla stessa. È previsto anche, al comma 13 che, ove sia necessario al fine della capillare descrizione di un macchinario ricorrere all'indicazione di un tipo specifico di prodotto occorre che tale indicazione sia accompagnata dall'espressione "o equivalente". La ratio delle disposizioni richiamate contenute nell'art. 68 è chiara. Nel rispetto del principio della più ampia partecipazione alle gare finalizzato alla ponderata e fruttuosa scelta del miglior contraente, si esclude espressamente, tranne ove sia giustificato dal particolare oggetto dell'appalto, la possibilità di indicare marchi o tipi specifici di produzione, a meno che il riferimento ad un prodotto non sia necessario al fine di descrivere dettagliatamente le caratteristiche che il bene offerto deve possedere»). Di particolare interesse è la sentenza del Consiglio di Stato n. 04364 del 2 settembre 2013, dove il giudice amministrativo, al punto 37, si pronuncia nel seguente modo: «A questo Consiglio è noto quell’orientamento, seguito da alcuni giudici di primo grado (v., ex plurimis, T.A.R. Lombardia, Milano, 3.11.2011, n. 2633; T.A.R. Campania, Napoli, 11.1.2011, n. 116; T.A.R. Sicilia, Palermo, 15.3.2010, n. 2932), secondo il quale la clausola di equivalenza, in quanto avente pretesa natura di norma imperativa, dovrebbe trovare applicazione indipendentemente dall’espressa previsione della lex specialis, perché, anche se le norme destinate a disciplinare la gara hanno valore di lex specialis, le medesime devono essere integrate da quelle imperative ai sensi dell’art. 1339 c.c.».

Un peso specifico notevole grava, infine, sull’art. 66 – Modalità di pubblicazione degli avvisi e dei bandi.
La divulgazione delle informazioni inerenti le procedure da espletare rappresenta un momento cruciale dell’evidenza pubblica dovendo tradurre nella realtà procedurale assiomi tecnici quali il principio di parità di trattamento tra tutti i potenziali concorrenti (L’autorità di vigilanza è intervenuta più volte sull’argomento: Deliberazione AVCP n. 94 del 7 novembre 2012; Id. n. 61 del 20 giugno 2012; Id. n. 11 dell’8 febbraio 2012 e Id. n. 16 del 24 gennaio 2007. Si segnala anche la Deliberazione AVCP n. 77 del 1 agosto 2012, dove si stabilisce che «L’art. 66 del D.lgs. n. 163/2006, contenente le indicazioni relative alle modalità di pubblicazione dei bandi, non può essere derogato dal Soggetto attuatore, salvo nei casi di espressa previsione nell’OPCM che regola le funzioni del Commissario delegato»), il principio della massima partecipazione alle gare di appalto, i principi di adeguata pubblicità (Deliberazione AVCP n. 92 del 7 novembre 2012 («La pubblicazione del bando di gara ha come finalità precipua quella di garantire ai soggetti interessati ed in possesso di idonei requisiti la partecipazione alle procedure di selezione poste in essere dall’amministrazione, realizzando, da un lato, l’interesse degli operatori stessi alla par condicio e, dall’altro, l’interesse pubblico alla massimizzazione delle domande presentate»); Id. n. 612/2012 cit.; Id. n. 16/2007 cit.). e della tassatività delle cause di esclusione.
 
Nella maggior parte delle ordinanze emergenziali, insieme alla Sezione II (Bandi, avvisi, inviti) appena circoscritta, viene derogata la terza Sezione dello stesso d. lgs. 163/06 – rubricata Termini di presentazione delle richieste di invito e delle offerte e loro contenuto – che comprende gli articoli da 70 a 77.
L’influenza di tale gruppo di articoli si misura dal considerevole novero di interventi, tanto del giudice amministrativo quanto dell’AVCP, rivolti alla protezione dei principi che ne governano la materia. L’intera Sezione, infatti, è informata ai più volte citati criteri di trasparenza (Deliberazione AVCP n. 92 del 7 novembre 2012 («Non è conforme ai principi di trasparenza e tutela della parità di trattamento la mancata riapertura dei termini per la ricezione delle offerte nei confronti di tutti i potenziali concorrenti (deliberazione AVCP n. 16 del 24/01/2007) da parte della stazione appaltante, qualora quest’ultima abbia apportato modifiche al bando di gara riguardanti elementi essenziali dello stesso, quali l’importo complessivo dell’importo a base d’asta ed i requisiti di partecipazione»); Deliberazione AVPC n. 31 dell’8 aprile 2009; Consiglio di Stato, V sezione - sentenza n. 3079 del 23 maggio 2011) e favor partecipationis, par condicio, buon andamento, ragionevolezza e proporzionalità, parità di trattamento e imparzialità, formalità, pubblicità, affidamento e buona fede.
L’articolo 73 – Forma e contenuto delle domande di partecipazione – integra, inoltre, principi di natura tecnica legati, in primis, alla cooperazione fra amministrazione e amministrati: «nell'ambito delle procedure ad evidenza pubblica, ove la formalità richiesta non sia funzionale a garantire un apprezzabile interesse pubblico, gli oneri meramente formali affievoliscono e rilevano le dichiarazioni implicite desumibili univocamente dalla documentazione prodotta a corredo dell'offerta, con la possibilità per l'ente (in presenza di dubbi o incertezze) di richiedere ulteriori precisazioni, perché il precetto del “buon andamento” (art. 97 cost.) include anche il principio di cooperazione fra amministrazione ed amministrati. Infatti, il potere-dovere della Stazione appaltante di chiedere un'integrazione documentale […] codifica uno strumento inteso a far valere, entro certi limiti, la sostanza sulla forma, nell'esibizione della documentazione ai fini della procedura selettiva, onde non sacrificare l'esigenza della più ampia partecipazione per carenze meramente formali nella documentazione» (Così TAR Lazio - sentenza n. 7527 del 23 settembre 2011).
In secondo luogo, allo stesso articolo è legato il cosiddetto principio di prova, di cui ne spiega l’utilità il TAR della Campania: «il potere di richiedere chiarimenti ed integrazioni al concorrente trova sicura applicazione nelle ipotesi in cui sussistono dubbi circa l'esistenza dei requisiti richiesti dal bando ed in ordine ai quali vi sia, tuttavia, un principio di prova circa il loro possesso da parte del concorrente […]: in tali casi, sussistendo un indizio del possesso dei requisiti richiesti, l'amministrazione non può pronunciare l'esclusione dalla procedura ma è tenuta a richiedere al partecipante di integrare o chiarire il contenuto di un documento già presente, costituendo siffatta attività acquisitiva un ordinario modus procedendi, ispirato all'esigenza di far prevalere la sostanza sulla forma, principio che si impone anche in virtù degli obblighi di istruttoria procedimentale gravanti sul responsabile del procedimento […] e la cui applicazione, nel caso di procedure ad evidenza pubblica, è da escludere solo ove si possa tramutare in una lesione del principio di parità di trattamento dei concorrenti. L’allegazione della sola prima pagina del certificato camerale costituisce un valido principio di prova in ordine al possesso di tale certificazione […]» (TAR Campania, VIII sezione - sentenza n. 4585 del 30 settembre 2011. Vedi anche Consiglio di Stato, V sezione - sentenza n. 3079 del 23 maggio 2011 («Solo se in concreto è stato fornito un principio di prova della eventuale manomissione dei plichi o quanto meno di un concreto pericolo di manomissione, può essere seguito il rigoroso orientamento giurisprudenziale secondo il quale la tutela dell’integrità dei plichi contenenti gli atti di gara deve essere assicurata in astratto, e sarebbe quindi sufficiente che la documentazione di gara sia stata sottoposta a rischio di manomissione per ritenere invalide le operazioni di gara»).
Infine, anche i principi della stretta interpretazione delle cause di esclusione dalle gare pubbliche e della segretezza delle offerte trovano la loro collocazione nell’art. 73 del d. lgs. n. 163/2006. Quello della segretezza, in particolare, è un principio cardine delle pubbliche gare, la cui osservanza non può essere verificata su un piano materiale e deve anzi essere garantita anche da menomazioni soltanto potenziali. Ciò che conta, in altri termini, è l'oggettiva impossibilità di conoscere le offerte e questa certamente non è più assicurata quando le offerte, private dei sigilli, risultano anche solo teoricamente consultabili dai membri della commissione (Consiglio di Stato, V sezione V - sentenza n. 490 del 12 febbraio 2008).

Da ultimo, per quanto riguarda le garanzie a corredo dell’offerta disciplinate dall’art. 75, si evidenzia l’esistenza del principio non di aggravamento del procedimento. Quest’ultimo si configura come un principio giuridico che impone alla stazione appaltante di non rallentare il procedimento con la previsione di termini inopinatamente lunga o con la richiesta di adempimenti istruttori inutili o particolarmente complessi, salvo che ciò non sia determinato da straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria.
Il requisito della straordinarietà dovrà essere interpretato in modo rigoroso e il giudice potrà rilevare la violazione del principio di non aggravamento ogni volta che l’amministrazione invochi generalmente le ragioni istruttorie senza precisare i motivi di fatto o di diritto che impongono la deroga del termine o il rallentamento del procedimento (361 Ex multis TAR Palermo, II sezione - sentenza n. 435 del 31 luglio 2008).
Avanzando nell’analisi delle norme del Codice degli appalti pubblici in maggior misura oggetto di deroga da parte di ordinanze emergenziali, si possono annoverare gli articoli legati, da una parte, alla forma di comunicazioni, verbali ed informazioni ai candidati e agli offerenti (Artt. 78 – 80, Sezione IV, Capo III, D. lgs. n. 163/2006) e, dall’altra parte, ai criteri di selezione delle offerte e alla verifica delle offerte anormalmente basse (Artt. 81 – 89, Sezione V, Capo III, D. lgs. n. 163/2006).
Il perno di quest’ultima area del Codice è l’art. 81, relativo ai criteri per la scelta dell’offerta migliore. Data la centralità dell’articolo in oggetto, esso è naturalmente regolato dai principi fondamentali fin qui tracciati, come testimoniano gli interventi giurisprudenziali. Il TAR Catanzaro (sentenza n. 511 del 25 maggio 2009) richiama i principi di ragionevolezza, non discriminazione, proporzionalità, affidamento e buona fede. Principio di non discriminazione già citato da Corte di Giustizia (sentenza n. 513 del 17 settembre 2002: «i criteri devono, comunque, essere collegati all'oggetto dell'appalto, devono essere tali da non conferire all'amministrazione aggiudicatrice una libertà incondizionata di scelta, devono essere adeguatamente pubblicizzati e devono rispettare il principio di non discriminazione») e Consiglio di Stato (sentenza n. 837 del 16 febbraio 2009). A sua volta il Consiglio di Stato (sentenza n. 4613 del 23 settembre 2008) postula la necessaria applicazione dei principi generali di buon andamento e imparzialità dell’attività dell’amministrazione, mentre la Corte dei Conti (Sentenza n. 1856 del 29 aprile 2004) fa riferimento ai principi di pubblicità delle gare pubbliche e di imparzialità dell'azione amministrativa. Secondo la giurisprudenza costituzionale, infine, la disciplina del Codice dei contratti pubblici, nella parte concernente le procedure di selezione ed i criteri di aggiudicazione, è strumentale a garantire la tutela della concorrenza (ex multi Corte Costituzionale - sentenza n. 184 del 10 giugno 2011; Id. sentenza n. 186/2010; sentenza n. 320/2008.

In particolare, la scelta del criterio di aggiudicazione rientra nella discrezionalità tecnica delle stazioni appaltanti che devono valutarne l'adeguatezza rispetto alle caratteristiche oggettive e specifiche del singolo contratto, applicando criteri obiettivi che garantiscano il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento e che assicurino una valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza. Il criterio del prezzo più basso può reputarsi adeguato al perseguimento delle esigenze dell'amministrazione quando l'oggetto del contratto non sia caratterizzato da un particolare valore tecnologico o si svolga secondo procedure largamente standardizzate.
Il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa può essere adottato quando le caratteristiche oggettive dell'appalto inducano a ritenere rilevanti, ai fini dell'aggiudicazione, uno o più aspetti qualitativi, quali, ad esempio, l'organizzazione del lavoro, le caratteristiche tecniche dei materiali, l'impatto ambientale, la metodologia utilizzata.
La scelta del criterio di selezione delle offerte in una gara per l’affidamento di un contratto pubblico sottende, quindi, una valutazione ampiamente discrezionale, censurabile unicamente per ragioni di illogicità ed irragionevolezza. Al riguardo, l’art. 81 – al comma 1 – individua come principio generale di valutazione quello dell’adeguatezza del criterio rispetto alle caratteristiche dell’oggetto del contratto.

Dall’esiguo dato normativo discende che, conformemente al principio di buon andamento dell’azione amministrativa ed al canone di efficienza, il discrimen tra i due criteri si ascrive alla più o meno puntuale predeterminazione nella lex specialis dell’oggetto del contratto da parte della stazione appaltante. In merito si segnala il lavoro dei giudici amministrativi del TAR Napoli, II sezione - sentenza n. 54 dell’11 gennaio 2010 e del TAR Piemonte, II sezione - sentenza n. 1 dell’8 gennaio 2011 («L’art. 81, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006, coerentemente con la normativa e la giurisprudenza comunitaria, laddove dispone che “Nei contratti pubblici, fatte salve le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative relative alla remunerazione di servizi specifici, la migliore offerta è selezionata con il criterio del prezzo più basso o con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa”, lascia chiaramente intendere che, esistendo una perfetta e sostanziale equivalenza tra i due sistemi, la scelta dell’uno o dell’altro è rimessa alla libera determinazione dell’amministrazione, con l’unico limite di far ricadere tale scelta su “quello più adeguato in relazione alle caratteristiche dell’oggetto del contratto”, al fine di “selezionare la migliore offerta”, conformemente al comma 2 del medesimo articolo, e di garantire la qualità delle prestazioni e il rispetto dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. medesimo, con cui il legislatore nazionale ha recepito, in sostanza, il considerando 2 della direttiva n. 2004/18/CE»).
Nella stessa Sezione del decreto legislativo è presente la disciplina relativa alle offerte anormalmente basse. Più precisamente, l’art. 86 ne indica i criteri di individuazione; l’art. 87 i criteri di verifica e l’art. 88 il procedimento di verifica e di esclusione. La materia delle offerte anormalmente basse ha richiamato spesso l’attenzione dell’autorità di vigilanza (Deliberazione AVCP n. 77 del 27 marzo 2007; Id. n. 219 del 27 giugno 2007; Id. n. 76 del 19 ottobre 2006. Inoltre, vedi Parere di Precontenzioso AVCP n. 134 del 24/07/2013; Id. n. 73 del 9 maggio 2013 e Id. n. 204 del 05/12/2012), del giudice amministrativo (Tra tante, Consiglio di Stato, IV sezione – sentenza n. 3146 del 21 maggio 2009 e Id. sentenza n. 3807 del 23 giungo 2011) e della Corte costituzionale (Corte Costituzionale - sentenza n. 160 del 22 maggio 2009; Id. sentenza n. 401/2007).
La verifica di anomalia, anche nell'appalto aggiudicato secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, trova la sua ragion d'essere nell'interesse dell'Amministrazione a giungere all'aggiudicazione ad una impresa che presenti il prezzo più basso, ma che nel contempo garantisca la regolare e corretta esecuzione dei lavori (il criterio di individuazione delle offerte anormalmente basse risponde ad una logica matematica, attraverso la quale, effettuando il calcolo previsto dalla norma, si addiviene all'individuazione delle offerte che devono essere valutate ai fini della verifica dell'anomalia). Per offerta anomala si intende, infatti, un’offerta anormalmente bassa rispetto all’entità delle prestazioni richieste dal bando e che, al contempo, suscita il sospetto della scarsa serietà dell’offerta medesima e di una possibile non corretta esecuzione della prestazione contrattuale, per il fatto di non assicurare all’operatore economico un adeguato profitto.
Più precisamente, la verifica di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, ma ha l’obiettivo di appurare se l’offerta nel suo complesso sia attendibile o inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto.
Da tale principio - Codificato dall’art. 88, co. 7, d.lgs. n. 163/2006 - che estrinseca lo scopo della verifica di anomalia, discende che il procedimento di verifica di anomalia – avulso da ogni formalismo – è ispirata alla più alta cooperazione tra stazione appaltante e offerente. Conseguentemente, il contraddittorio deve essere effettivo e privo di preclusioni alla presentazione di giustificazioni che possano comprovare l’affidabilità dell’offerta nel suo complesso al momento dell’aggiudicazione.

Sulla valutazione dell’anomalia dell’offerta, spetta alla stazione appaltante svolgere il giudizio tecnico sulla congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità dell’offerta (vedi Parere di Precontenzioso AVCP n. 56 del 23 aprile 2009). Gli apprezzamenti dell’Amministrazione in sede di conferma dell’anomalia delle offerte costituiscono espressione di un potere di natura tecnicodiscrezionale, improntato a criteri di ragionevolezza, logicità e proporzionalità, che rientra tra le prerogative della stazione appaltante e, in particolare, della commissione di gara, salvo che nell’esercizio di tale potestà non emergano vizi evidenti di ricostruzione dell’iter logico-argomentativo (Parere AVCP n. 213/2008).
Per ciò che concerne, invece, la progettazione degli appalti si riscontrano deroghe ad intere Sezioni del Codice dei contratti pubblici, quali la Sezione I – Progettazione interna ed esterna, livelli della progettazione – la Sezione II – Procedimento di approvazione dei progetti e effetti ai fini urbanistici ed espropriativi e la Sezione IV – Garanzie e verifiche della progettazione.
Tra le disposizioni richiamate, le più importanti riguardano le procedure di affidamento, la verifica preventiva dell’interesse archeologico, il procedimento di approvazione dei progetti e le garanzie che devono essere fornite dai progettisti.
Gli incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo possono essere affidati ex art. 91, d. lgs. 163/06, dalle stazioni appaltanti a liberi professionisti o a società di ingegneria nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza. Si veda, in tal senso, la Deliberazione AVCP n. 17 del 9 febbraio 2011 dove si afferma che gli incarichi di progettazione devono essere affidati nel rispetto dei principi di buona fede e trasparenza; Id. n. 80 del 14 febbraio 2010. Già nel 2006 l’AVCP era intervenuta in merito all’art. 91, menzionando anche il principio di rotazione e divieto di cumulo degli incarichi (n. 1/2006). A tali assiomi, poco dopo l’emanazione del Codice dei contratti pubblici, il TAR di Bari ha associato anche il principio di pubblicità.

I progettisti, a loro volta, devono dotarsi di una polizza di responsabilità civile professionale per i rischi derivanti dallo svolgimento delle attività di propria competenza, pena il mancato pagamento della parcella da parte dell’amministrazione.
La “foga” derogatoria delle ordinanze emergenziali ha spesso colpito anche gli istituti delle varianti in corso d’opera, al quale l’autorità di vigilanza fa risalire il principio generale di determinatezza degli elementi essenziali della gara, del subappalto e del collaudo. Come si può agevolmente intuire, le ultime due attività costituiscono un passaggio fondamentale per il buon esito dell’appalto.
Il subappalto, normato dall’art. 118 del Codice, risponde al principio della selezione pubblica del contraente e della massima partecipazione alla gara. Il collaudo (art. 120, d.lgs. n. 163/2006), invece, deve essere affidato nel rispetto dei principi della proporzionalità, della trasparenza e della rotazione.
Nel corposo elenco delle norme del Codice degli appalti pubblici derogate da interventi di natura contingibile ed urgente vanno distinti, infine, gli articoli legati alla programmazione, direzione ed esecuzione dei lavori ed al contenzioso.
Con la deroga alle prescrizioni inerenti l’organizzazione e la concreta attuazione degli appalti pubblici si inibiscono funzioni rilevanti quali l’operato del Consiglio superiori dei lavori pubblici, la stipula di coperture assicurative e la direzione dei lavori.
L’articolo 133, inoltre, impone i vari termini di adempimento ed il relativo adeguamento dei prezzi in caso di ritardo; la norma è strutturata per determinare l’ottemperanza ai principi generali di proporzionalità, ragionevolezza, trasparenza e par condicio oltreché di efficienza, efficacia e correttezza.
Allo stesso modo, derogando – il più delle volte per intero – alle norme sul contenzioso, vengono meno gli strumenti di risoluzione delle controversie e la tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo.
 
Articolo redatto dal Dott. Riccardo Cerulli - 22/12/2016 - Serie di articoli dedicati all’emergenza nei contratti pubblici