La nozione di “grande evento” ha conosciuto due differenti stagioni nella sua storia ventennale nell’ordinamento italiano.
In una prima fase, inaugurata con il decreto – legge 7 settembre 2001, n. 343 («Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile», pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 210 del 10 settembre 2001. Decreto convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 novembre 2001, n. 401, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 262 del 10 novembre 2001.), il legislatore si preoccupa di far rientrare i grandi eventi nell’alveo delle ordinanze di protezione civile.
In particolare, l’articolo 5-bis - rubricato «Disposizioni concernenti il Dipartimento della protezione civile» - del d.l. n. 343/2001, al comma 5 prevede che «le disposizioni di cui all’articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 («Stato di emergenza e potere di ordinanza»), si applicano anche con riferimento alla dichiarazione dei grandi eventi rientranti nella competenza del Dipartimento della protezione civile e diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza»; così facendo la nozione di “grande evento” fa il suo ingresso nel corpo normativo nazionale con una dignità pari a quella delle ordinanze di protezione civile, con effetti assolutamente controversi, come si vedrà in seguito.
 
In più, a distanza di pochi anni, lo stesso legislatore italiano è di nuovo intervenuto per applicare anche agli interventi all’estero del Dipartimento della protezione civile le regole disciplinate dall’articolo 5 della legge 225/1992 e dall’articolo 5-bis, comma 5 del decreto legge 343/2001, con il decreto – legge 31 maggio 2005, n. 90 («Disposizioni urgenti in materia di protezione civile», pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 125 del 31 maggio 2005. Decreto legge convertito, con modificazioni, dalla legge 26 luglio 2005, n. 152, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 176 del 30 luglio 2005).
 
Nei primi cinque anni del nuovo millennio, quindi, si è assistito alla creazione giuridica di un particolare strumento consegnato nelle mani del potere esecutivo.
Strumento con caratteristiche mutuate dalle ordinanze emergenziali, ma con scopi radicalmente differenti.
Da qui in avanti si verificherà un utilizzo massiccio di grandi eventi fino ai primi mesi del 2012, quando viene pubblicata la legge 24 marzo 2012, n. 27 («Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 71 del 24 marzo 2012 – Supplemento ordinario n. 53), con la quale si abroga – con l’articolo 40-bis, «Misure per la trasparenza nella gestione dei grandi eventi» – il comma 5 dell’articolo 5-bis del d.l. n. 343/2001.
Particolarmente significativa la collocazione dell’articolo 40-bis all’interno del decreto–legge 24 gennaio 2012, n. 1; esso infatti si trova nel Titolo I, dedicato alla «Concorrenza», al Capo VIII – «Altre liberalizzazioni». L’interpretazione che ne deriva, infatti, può essere articolata su due livelli: da una parte, il Titolo I – «Concorrenza», nel contesto generale di maggiore competitività nazionale che è la ratio della norma, denota come il legislatore del 2012 abbia considerato i grandi eventi un ostacolo alla libera concorrenza nel mercato italiano; dall’altra parte, la rubrica «Altre liberalizzazioni» del Capo VIII ben evidenzia la forte “presa pubblica” sui grandi
eventi, fonte anch’essa, probabilmente, di inefficienze e maggiori costi rispetto ad una gestione più orientata al privato.
La nuova ottica contenuta nel d.l. n. 1/2012 rappresenta l’atto finale di quella che potrebbe essere considerata la seconda fase della parabola della nozione di “grande evento”.
Un percorso tracciato da dottrina e giurisprudenza, atto a segnalare numerose criticità legate all’utilizzo, via via sempre più massiccio, delle ordinanze di protezione civile, comprendenti ormai dal 2001 anche i grandi eventi.

Dall’assenza dei presupposti per l’utilizzo delle ordinanze in deroga a disposizioni vigenti già segnalata, scaturisce, infatti, una seconda criticità legata ad una indebita estensione della possibilità di utilizzare, da parte dell’esecutivo, poteri extra ordinem.
Inoltre, suscitano molte perplessità tanto la mancata “tipizzazione” a livello giuridico del concetto di grande evento, quanto, sul piano dell’iter procedimentale, il fatto che la dichiarazione di “grande evento” sembri spettare al solo Presidente del Consiglio dei Ministri e non al Governo nella sua collegialità; così come si evince dal testo del primo capoverso del comma 1 dell’articolo 5 - «Competenze del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di protezione civile» del d.l. n. 343/2001:
«1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero il Ministro dell'interno da lui delegato, determina le politiche di protezione civile, detiene i poteri di ordinanza in materia di protezione civile, promuove e coordina le attività delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni, degli enti pubblici nazionali e territoriali e di ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata presente sul territorio nazionale, finalizzate alla tutela dell'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri grandi eventi, che determinino situazioni di grave rischio, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112».

 
È utile, ai fini dell’analisi qui proposta, approfondire i profili di criticità sopra richiamati.
Nonostante i fondamenti formalizzati dalla copiosa giurisprudenza, la legge 24 febbraio 1992, n. 225 di costituzione della protezione civile ha sin da subito lasciato spazio ad un’incertezza interpretativa legata all’individuazione di criteri oggettivi per la definizione degli “altri eventi” che sarebbero rientrati nella competenza del Dipartimento di protezione civile in base alla lettera c) dell’articolo 2, rubricato «Tipologie degli eventi ed ambiti di competenza». Si tratta di «calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari».
Proprio l’interpretazione estensiva della formulazione originaria dell’articolo 2 ha permesso il progressivo dilatarsi del perimetro dei poteri d’eccezione, nonostante gli interventi dottrinali che richiedevano l’individuazione dei presupposti legittimanti l’attribuzione dei poteri in deroga «in termini tassativi senza generici richiami ad “altri eventi”, ma stabilendo il tipo di fatto emergenziale che consente l’attivazione del potere di ordinanza; lasciando alla decretazione d’urgenza la funzione costituzionale di fronteggiare le emergenze innominate».
Tale perimetro, infatti, prima ancora del decreto – legge 7 settembre 2001, n. 343, era stato sufficientemente allargato per farvi rientrare accadimenti con peculiarità poco aderenti ai presupposti precedentemente richiamati. Il riferimento è, in particolare, all’emergenza rifiuti, all’emergenza traffico e all’emergenza economico–sociale; interventi i cui connotati di eccezionalità o di imprevedibilità difettano ad origine, ma che gli esecutivi non hanno reputato di poter gestire con le procedure ordinarie, evidentemente considerate inadeguate.

 
Emergenze “improprie” che hanno provocato una «progressiva traslitterazione di senso che ha condotto ad ampliare progressivamente la possibilità di uso straordinario dei poteri» (così AZZARITI G., “L’eccezione e il sovrano. Quando l’emergenza diventa ordinaria amministrazione”).
Questa prassi, inoltre, è stata in larga misura resa possibile dal self–restraint della magistratura amministrativa, la quale non ha mai ritenuto opportuno censurare dichiarazioni di “stato di emergenza” disposte dal Consiglio dei Ministri. In tal modo, si è iniziato a compromettere il tentativo di definizione di un modello di riferimento per l’utilizzo delle ordinanze in situazioni di emergenza attuato dal legislatore del 1992 con la legge n. 225.
Compromissione proseguita e quanto mai accentuata dall’introduzione nell’ordinamento nazionale del più volte richiamato comma 5, articolo 5-bis del decreto–legge 343 del 2001, attraverso il quale è stato esteso il ricorso al potere di ordinanza con riferimento ai “grandi eventi”.

Per ciò che concerne l’ottica di analisi del presente articolo – i presupposti che legittimano l’utilizzo di ordinanze in deroga alla legislazione vigente – il comma 5 tratteggia una netta linea di demarcazione rispetto alle ipotesi fino ad allora considerate ineludibili al fine del corretto uso del potere emergenziale, aprendo alla possibilità di considerare i “grandi eventi” come presupposto sostanziale per dotare l’esecutivo di “capacità derogatorie”.
Il testo del comma 5 rinvia alla norma attributiva del potere di ordinanza stabilendo che «le disposizioni di cui all’articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, si applicano anche con riferimento alla dichiarazione dei grandi eventi rientranti nella competenza del Dipartimento della protezione civile […]» e perciò introduce la nozione di “grande evento” - senza peraltro fornire elementi ulteriori per definire giuridicamente il fenomeno - concedendole la possibilità di “suscitare” lo stato di eccezione, generalmente fondato su una situazione d’urgenza.
Ancora più caratterizzante è la seconda parte dell’enunciato del comma 5 che perfeziona la base giuridica dei “grandi eventi” considerandoli «[…] diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza» emanata dal Consiglio dei Ministri.
È facile intuire, a questo punto, come il comma 5 interpreti una concezione palesemente impropria dell’emergenza.

 
La delegittimazione della delibera dello stato d’emergenza come unica condizione fondamentale per l’esercizio del potere di ordinanza, ora affiancata da una mera “dichiarazione di grande evento”, appare infatti come un trapianto di meccanismi, nati per affrontare catastrofi e calamità, nel campo di future situazioni, le quali, pur caratterizzate da una gestione a volte estremamente complessa, sono connotate da presupposti del tutto diversi. A maggior ragione se si considera che la Corte costituzionale ha miratamente interpretato in senso restrittivo la stessa nozione di stato d’emergenza, esigendo nella sentenza n. 127 del 1995 che quest’ultimo sia «delimitato con riguardo alla qualità e natura degli eventi».
La dottrina più recente parla addirittura di un «modello para – emergenziale, in cui si dà vita ad un regime da protezione civile, su presupposti, legali e di fatto, distinti da quelli dell’attività di protezione civile» (CAPANTINI M. "I grandi eventi”).
In sintesi, non più soltanto un peculiare evento di natura straordinaria ed imprevedibile, bensì ogni ipotetico “grande evento” può autorizzare l’utilizzo di ordinanze in deroga alle norme vigenti e la concessione di poteri extra ordinem al Dipartimento della protezione civile. In tutti questi eventi si evidenzia l’assenza dei vari presupposti legittimanti i poteri d’ordinanza e si palesa, quindi, la forte incongruenza legata al rinvio del comma 5 alla norma attributiva proprio dello stesso potere d’emergenza. In questo modo, il legislatore del 2001 compie un’opera di rilevante portata ampliando il novero dei presupposti sostanziali delle ordinanze contingibili e urgenti ad un ambito innovativo estraneo all’area dell’emergenza; permettendo così un impiego ipertrofico delle «potenzialità derivanti dal mix di “protezione civile” e “grandi eventi”».

 
Potenzialità “pericolose” in considerazione della capacità di derogare ad ogni disposizione vigente del potere d’ordinanza.
Il risultato di quanto fin qui asserito è quindi un’indebita estensione dell’utilizzo dei poteri emergenziali. Tale estensione, però, non sembra tanto il frutto di uno sforzo coerente del legislatore atto a perseguire un obiettivo a lungo termine legato ad una gestione amministrativa dell’emergenza più performante ed efficace – seppur non condivisibile alla luce dei fatti – quanto uno “stratagemma” architettato da una volontà politica finalizzata a violare il sistema di limiti e controlli che presidia l’operato dei governo.
Una prima testimonianza di quanto appena affermato si può rinvenire proprio nel citato d.l. n. 343/2001 laddove, tramite una clausola di abrogazione tacita, viene specificato, all’articolo 6 cripticamente rubricato «Abrogazioni», che «sono abrogate le disposizioni della legge 24 febbraio 1992, n. 225, incompatibili con il presente decreto»; poste le garanzie procedurali e la tassativa enumerazione dei presupposti dello stato di eccezione contenute nella formulazione originaria della legge di costituzione della protezione civile, da quanto disposto dall’art. 6 del d.l. 343/01 sembra emergere una consapevolezza nell’indebolire, con la nozione di “grande evento”, proprio quei paletti all’uso dei poteri in deroga imposti già dal 1992.
La motivazione di tale comportamento è stata segnalata, tra gli altri, da Cassese; il quale ha fatto riferimento «all’abuso o dilatazione dell’emergenza per rimediare alla lentezza cronica della pubblica amministrazione o per sfuggire a vincoli procedimentali (per esempio l’obbligo di gara per la scelta del contraente)» (CASSESE S., “I paradossi dell’emergenza”). In altre parole i poteri di necessità e urgenza divengono un rapido strumento per occultare limiti intrinseci della politica e dei processi di decisione nel gestire compiti amministrativi assolutamente ordinari, seppur complessi.
L’approfondimento di Cassese circa “l’abuso dell’emergenza”, inoltre, arriva a definire un paradosso quando si nota che il ricorso ai poteri di emergenza avviene nonostante l’assenza dell’emergenza stessa nei grandi eventi. Si era quindi giunti, tanto per legge quanto per prassi, all’utilizzo delle ordinanze di protezione civile non soltanto come mezzo per la gestione (o prevenzione) di catastrofi o calamità naturali, ma anche come strumento ordinario di regolazione e gestione di una serie atipica e aperta di interventi; consegnando quindi alla valutazione meramente politica del Presidente del Consiglio dei Ministri, che doveva “dichiarare” il grande evento, l’uso potenzialmente generalizzato dei poteri straordinari.

 
Alle critiche della scienza giuridica hanno, però, fatto da contraltare le asserzioni del direttore del Dipartimento della Protezione Civile in occasione della risposta del Governo ad interpellanza urgente, avvenuta in data 15 aprile 2010. Questi, infatti, ha spiegato che «un grande evento, nonostante l’attivazione di un’adeguata pianificazione in grado di assicurare, per quanto possibile, condizioni di adeguata tutela della pubblica e privata incolumità, costituisce comunque una situazione straordinaria, potenzialmente in grado di generare stravolgimenti nel sistema ordinario con la probabilità di accrescere i rischi connessi allo svolgimento della vita di relazione che, in tali occasioni, possono essere solo parzialmente prevedibili e prevenibili».
In sintesi, le “proporzioni” del grande evento sono sempre tali da rendere inadeguati i sistemi ordinari di pubblica amministrazione. Tale ammissione, però, non può essere accettata proprio per le circostante prima delineate; in particolare per la mancanza del presupposto emergenziale. Gli istituti emergenziali, infatti, implicano l’inosservanza del principio di separazione dei poteri – incidendo di conseguenza sulla stessa garanzia delle libertà – a fronte soltanto di un accaduto non ordinario che pone in pericolo beni e principi costituzionalmente riconosciuti.
Al contrario, il grande evento è un accadimento sociale, con caratteristiche specifiche, lungi dal poter essere considerato un fatto potenzialmente lesivo della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente.Al di là di un coordinamento complesso, infatti, il grande evento difetta di quei presupposti poc’anzi richiamati che giustificano l’esercizio dei poteri extra-ordinem in deroga alla legislazione vigente, essendo esso deciso ed organizzato da soggetti promotori, spesso con largo anticipo rispetto alla data d’inizio dell’evento stesso.
In ultima analisi, la disciplina vigente relativa ai “grandi eventi” fa venir meno il rapporto tra regola ed eccezione attribuendo al Presidente del Consiglio dei Ministri un potere di natura straordinaria – atto amministrativo in deroga alla legge – in condizioni per definizione ordinarie, l’organizzazione di un grande evento, in tal modo «scindendo il fatto emergenziale e lo stato d’eccezione destinato a fronteggiarla».
 
Due importanti effetti sono riconducibili al modello di conduzione previsto dal d.l. 343/01: il primo è stato la formazione di una procedura non-ordinaria e non-straordinaria difficilmente gestibile dal punto di vista amministrativo; il secondo effetto è stato quello di ingenerare «una perenne instabilità e fluidità del tessuto normativo, che può costituire a sua volta occasione per fenomeni di arbitrio o di malcostume amministrativo» ed in effetti la casistica ne dimostra un uso piuttosto controverso.
Dal 2001 ad oggi, infatti, si contano trentasei “grandi eventi” di cui diciotto riguardano episodi di natura religiosa, mentre sette interessano competizioni sportive e nove vertici internazionali. A questi si aggiungono due eventi peculiari come le celebrazioni per il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia e l’Expo Universale 2015 che ha avuto luogo a Milano.
Tutte le manifestazioni sono state dichiarate “grande evento” tramite un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e dalla lettura di questi ultimi emergono aspetti di difficile interpretazione.
Al fine di ottenere un piano di analisi più circoscritto, si è estrapolato dai dati aggregati richiamati poc’anzi un campione di cinque grandi eventi, legati a differenti tipologie di manifestazione.
I grandi eventi selezionati sono:
1. Congresso Eucaristico nazionale, Ancona – Osimo, 2011. Dichiarato “grande evento” con DPCM 19 marzo 2008, durante il governo Prodi bis;
2. Vertice intergovernativo Italo-Russo, Bari, 2007. Dichiarato “grande evento” con DPCM 16 febbraio 2007, durante il governo Prodi bis;
3. Mondiali di nuoto «Roma 2009». Dichiarato “grande evento” con DPCM 14 ottobre 2005, durante il governo Berlusconi ter;
4. 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, 2011. Dichiarato “grande evento” con DPCM 23 novembre 2007, durante il governo Prodi bis;
5. Expò «Milano 2015». Dichiarato “grande evento” con DPCM 30 agosto 2007, durante il governo Prodi bis.

 
Dallo studio dei decreti di dichiarazione di “grande evento” si nota facilmente l’utilizzo reiterato, tra le premesse, di una formulazione del seguente tenore: «ravvisata la necessità di adottare misure di carattere straordinario ed urgente per assicurare un regolare svolgimento della manifestazione nell’ambito di operatività delle disposizioni contenute nel comma 5 dell’art. 5-bis del decreto – legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401». Tale formulazione, però, appare priva di fondamento logico – giuridico poiché non sembrano rinvenirsi all’intero dello stesso decreto presupposti sufficienti ad «adottare misure di carattere straordinario ed urgente». Ciò in quanto non è condivisibile l’operato del Presidente del Consiglio dei Ministri che fa riferimento all’urgenza di intervenire in vista di un evento che avrà luogo a distanza di tempo, sovente di diversi anni.
Si pone all’attenzione del lettore un’ulteriore incongruenza legata al lasso di tempo che intercorre tra la dichiarazione di grande evento e l’inizio dello stesso. In particolare, nel campione di cinque eventi richiamati, tale lasso di tempo è estremamente variabile da un decreto all’altro. Infatti, mentre per il Congresso religioso, i mondiali di nuoto ed i festeggiamenti per l’Unità d’Italia l’evento
viene inserito nell’ambito del comma 5, art. 5-bis, d.l. 343/01 tra i tre e i quattro anni prima, nel caso del vertice internazionale intercorrono solo trenta giorni; agli antipodi rispetto ai sette anni e quattro mesi che dividono l’Expò Milano 2015 dalla dichiarazione di grande evento al suo effettivo inizio.
Le premesse considerate nei decreti sono quanto mai distanti da quei presupposti legati, da una parte, all’imprevedibilità del fatto e, dall’altra parte, alla necessità di intervenire in maniera tempestiva.

 
A quanto finora detto, si aggiunga la considerazione che gli eventi descritti, pur essendo tutti di natura differente, riportano premesse piuttosto simili, riferite principalmente alla caratura dell’evento, alla complessità dell’organizzazione ed al coinvolgimento di un grande numero di persone. Tali premesse, assolutamente veritiere, risultano, però, eccessivamente generiche e, soprattutto, non forniscono alcuna motivazione valida per il ricorso a poteri extra ordinem.
La necessità di garantire assistenza sanitaria ed ordine pubblico durante un evento, non solo ampiamente previsto ma anche promosso e pianificato, non può essere demandata ad un’amministrazione provvisoria e derogatoria.
In sintesi, la considerazione sopracitata evidenzia, come già anticipato, importanti lacune nell’operato “ordinario” della pubblica amministrazione e, conseguentemente, l’assenza di una relazione causale tra l’evento da organizzare e le misure normative adottate. Affermazione quest’ultima fortemente corroborata anche da alcuni passaggi dei decreti analizzati, che mostrano un certo grado di confusione
dell’iter che rende, dal punto di vista normativo, una manifestazione un “grande evento”.

Ex multis, è sufficiente prendere in considerazione il decreto relativo al 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, specificatamente la seguente premessa: «considerato che le celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità nazionale, da considerarsi, in via generale, quale manifestazione di elevatissima risonanza nazionale ed internazionale, determineranno l’insorgenza di problematiche di varia e complessa natura sul piano della realizzazione degli interventi, […]». Dalla lettura di questo passo, infatti, risaltano ancora una volta un livello di approssimazione elevato («problematiche di varia e complessa natura») e, soprattutto, il fatto che si presuppone che l’evento, il quale dovrà verificarsi tre anni dopo rispetto alla firma del decreto, può creare ostacoli alla realizzazione delle infrastrutture, tanto da far ricorso ad un regime extra ordinem; aggirando così le regole previste per gli appalti pubblici in maniera del tutto arbitraria.

Inoltre, non è chiaro in che modo il fatto che sia principalmente il Dipartimento della Protezione Civile ad occuparsi dell’organizzazione della manifestazione possa garantire risultati migliori rispetto all’operato di un soggetto pubblico, generalmente dotato di personale più qualificato per l’amministrazione di fatti ordinari, fermo restando il presidio dell’evento della Protezione Civile, come soggetto deputato ad intervenire in caso di appurata emergenza.
Nonostante ciò, infatti, paradossalmente accade che sia la stessa pubblica amministrazione ad invocare la dichiarazione di “grande evento” ed il conseguente trasferimento di molti poteri dagli enti pubblici alla Protezione Civile, in una sorta di deliberata deresponsabilizzazione. Quanto detto è testimoniato, ad esempio, dal DPCM 30/8/2007 relativo all’Expo 2015, nel quale il Presidente del Consiglio richiama la «nota del Sindaco di Milano del 30 luglio 2007, concernente la necessità di provvedere alla dichiarazione di “grande evento” in relazione alla candidatura della città di Milano quale sede per lo svolgimento del grande evento dell’Expo Universale 2015».
Da ascrivere, infine, all’elenco delle incoerenze riscontrabili dallo studio dei “grandi eventi”, vi è sicuramente l’ingente produzione normativa ad essi legata, indice di una visione quasi “schizofrenica” della programmazione. Basti osservare i trentadue decreti necessari per condurre a termine i festeggiamenti per il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia.

Più nel dettaglio, si tratta di 19 decreti che si occupano direttamente o esclusivamente dell’evento (compresi i due antecedente il DPCM 23/11/2007 di dichiarazione del “grande evento”), più tredici decreti “omnibus” che dedicano ad esso alcuni articoli. Non prive di fondamento le critiche legate alla tecnica di tali ultimi decreti, attraverso i quali si prevedono contestualmente variazioni a differenti ordinanze con un unico atto – generalmente denominato “Disposizioni urgenti di protezione civile – contente spesso anche disposizioni relative a nuove situazioni emergenziali. Nonostante possa infatti rappresentare una modalità procedurale molto elastica, il decreto omnibus pecca sul piano della chiarezza e, soprattutto, della certezza del diritto, rendendo «estremamente difficile per l’interprete e per l’opinione pubblica ricostruire con esattezza la filiera delle misure adottate e degli interventi intrapresi per fronteggiare una determinata emergenza».

Come detto, il campione di grandi eventi estrapolato presenta la caratteristica di contenere differenti tipologie di manifestazioni e ciò può essere considerato un vulnus normativo, poiché alla nozione di grande evento non è stata affiancata nessuna caratteristica specifica tale da poter definire un modello standard di “grande evento” (l’unico tratto ricorrente nell’amministrazione dei “grandi eventi” in regime di protezione civile è la nomina di un commissario straordinario).
Nel tempo sono state proposte numerose analisi del fenomeno.
Alcuni eventi, come le Olimpiadi o i Giubilei, possono facilmente essere considerati paradigmatici tanto per la loro “longevità”, quanto per le ripercussioni nello spazio e nel tempo nei quali avvengono. Si pensi, in particolare, al Giubileo universale della Chiesa Cattolica, la cui origine affonda le radici nella storia, il primo Giubileo fu istituito con la Bolla Antiquorum habet fidem, emanata il 22 febbraio 1300, che ha avuto luogo – seppur ad intervalli irregolari – senza discontinuità negli ultimi settecento anni, dando così la possibilità ai fedeli di attraversare le Porte Sante delle quattro Basiliche romane.
Tali eventi, anche in considerazione della crescente connotazione politica assunta negli anni recenti, sono perciò divenuti oggetto di studio per molte scienze come la sociologia, la politologia e la statistica e da essi sono state estrapolate alcune caratteristiche peculiari quali: il richiamo di spettatori/utenti in cifre considerevoli, in parte locali, in parte «provenienti da bacini molto ampi e diversificati»; la natura simbolico – culturale e sociale dell’avvenimento; il lasso di tempo generalmente breve in cui gli eventi si verificano e lo spazio fisico delimitato, nonostante l’evento stesso «induce spesso effetti che valicano tali confini e che possono riguardare anche un intero Paese»; fino ad arrivare all’adozione sempre più massiccia di tecniche di marketing sul mercato internazionale, sostenute da importanti investimenti.
Oltre che nei già citati Giubilei e Olimpiadi, i sovraesposti elementi distintivi possono essere rinvenuti anche in avvenimenti politici speciali quali i Summit del G8, sportivi speciali come la Coppa America di Vela o culturali come le Capitali europee della cultura.
In estrema sintesi, si tratta di manifestazioni «di breve durata e di alto profilo» che stimolano ripercussioni di carattere politico, sociale e culturale. Tali eventi, però, presentano anche connotati divergenti nonostante numerosi autori abbiano usato, in termini quasi indifferenti per descriverli, concetti come mega events, big events o special events, senza perciò ricorrere «ad un apparato concettuale e classificatorio più preciso», che si sottraesse a fuorvianti sovrapposizioni.
In virtù di tali divergenze, alcuni studiosi hanno elaborato delle classificazioni che tenessero conto delle variabili che qualificano i grandi eventi, con particolare riferimento al tipo di target o di pubblico cui le manifestazioni sono orientate e, soprattutto, agli aspetti mediatici. Il coinvolgimento dei media, infatti, è divenuto grazie al progresso tecnologico la chiave strategica per determinare il successo dell’avvenimento, tanto da far coniare il sintagma media events, come requisito necessario per la costruzione di un “grande evento”.
Proprio partendo dalla “dimensione mediale” e dal target si sviluppa la tassonomia di riferimento, elaborata nel 2002, da GUALA nell’articolo “Per una tipologia dei mega eventi”, in Bollettino della Società Geografica Italiana, serie XII, volume VII, 2002.
La classificazione citata riprende e approfondisce la tassonomia elaborata da Maurice Roche nel 2000, con l’obiettivo di correggerne alcune imperfezioni e lacune, data l’assenza nella catalogazione di Roche di appuntamenti come i summit internazionali o le grandi mostre d’arte o la scarsa “adattabilità” a manifestazioni di prestigio, come, ad esempio, il Festival del Cinema di Venezia. In questo senso, si può notare l’inserimento delle “grandi opere” – quali importanti opere pubbliche o manufatti urbani di pregio come indicato nell’esemplificazione dei casi afferenti alla tipologia – nell’elenco del 2002, assimilati per le implicazioni economiche e sociali ad un vero e proprio evento.
L’obiettivo di Roche prima e di Guala poi è chiaramente quello di predisporre una tassonomia onnicomprensiva utile, da una parte, ad “incanalare” tutti i grandi eventi e, dall’altra parte, ad evitare sovrapposizioni, in considerazione soprattutto delle numerose sfaccettature che possono caratterizzare gli eventi stessi.

Nonostante gli sforzi di sistematizzazione, nessuna delle classificazioni proposte è confluita nell’ordinamento italiano, con il risultato che è ancora oggi impossibile addivenire ad una definizione giuridica generale dei grandi eventi.
Questo perché, innanzitutto, i materiali di diritto positivo, sia nazionali che comunitari, non trattano i grandi eventi come un principio generale ed astratto, ma piuttosto utilizzano l’espressione “grande evento” in chiave solamente descrittiva di singole e specifiche manifestazioni.
In questo modo, gli eventi sono definiti e disciplinati ciascuno in maniera del tutto autonoma da numerosi fonti normative secondarie, le quali, però, non consentono una ricostruzione dal particolare al generale della nozione di “grande evento”. Neppure la dottrina e la giurisprudenza, inoltre, sembrano aver controbilanciato in maniera sostanziosa tale lacuna.
In ultima analisi è la norma che ha introdotto i grandi eventi nell’ordinamento – il d.l. 343/01 – a fornire l’unico contributo utile in chiave definitoria, ascrivendo a simili appuntamenti il connotato di essere «diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza». Rimane comunque una caratteristica indicata in negativo rispetto al carattere emergenziale tipico dell’amministrazione di calamità e catastrofi e perciò largamente inadeguata per qualificare i “grandi eventi” a norma di legge.
La species di tali eventi, infatti, sembra non appartenere al genus delle calamità naturali, contrariamente a quanto sostenuto dal direttore del Dipartimento della Protezione Civile nel corso della già richiamata interpellanza parlamentare del 15 aprile 2010. In quell’occasione, precisamente, fu affermato che l’art. 5-bis del d.l. n. 343/2001 avrebbe «enucleato una volta per tutte il principio già esistente nella normativa vigente, ovverosia che la disciplina afferente agli eventi calamitosi si applica anche ai cosiddetti “grandi eventi” essendo questi ultimi una partizione della categoria residuale degli “altri eventi”».
In tal modo, il riferimento alla «disciplina afferente agli eventi calamitosi» richiama un’interpretazione “allargata” della tassativa lista di avvenimenti contenuta nell’art. 2, lett. c) della l. n. 225/1992 (si tratta di «calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari») fissando un rapporto tra “grande evento” e calamità naturali risolvibile secondo il criterio di specialità.

 
La lettura del Governo del 2010, però, appare un iter analogico non percorribile, data la rilevante lontananza tra le caratteristiche dei grandi eventi e quelle degli avvenimenti calamitosi, aspetto peraltro già ampiamente dimostrato nelle righe precedenti.
Per quanto possa trattarsi di un’ipotesi residuale, infatti, la definizione degli “altri eventi” della lettera c), art. 2, l. 225/92, va comunque informata ad un criterio di graduale omogeneità, partendo dai fenomeni che sfuggono alla volontà ed al controllo umano. L’effetto è quello di far scaturire l’interpretazione controversa del “grande evento” come un genus innovativo rispetto agli “altri eventi” che però ha in comune con questi ultimi – e conseguentemente con tutte le circostanze enumerate nell’art. 2, l. n. 225/1992 – il fatto di porre in essere il regime d’eccezione e di legittimare l’uso del
potere di ordinanza previsto dalla legge sulla protezione.

L’impegno della scienza di settore ad inquadrare la natura giuridica dei “grandi eventi” sembra quindi non riuscire a produrre una soluzione univoca. A ciò ha notevolmente contribuito, come detto, l’assenza di una fonte legislativa che contenesse una nozione “universale” delle manifestazioni in oggetto.
L’enunciazione maggiormente fruibile di tali eventi è desumibile, per analogia, dal concetto di evento di particolare rilevanza per la società, contenuto nella delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazione del 9 marzo 1999, n. 8. Il documento menzionato, connesso alla fornitura di servizi audiovisivi rilevanti sul piano del diritto all’informazione, allo scopo di determinare il perimetro dell’evento congiunge «l’importanza oggettiva dell’avvenimento con l’interesse generale alla sua visione» attraverso la rispondenza dell’evento stesso ad espresse condizioni generali.
Le condizioni sono previste dal comma 2 dell’articolo 1 della delibera, il quale dispone: «Per "evento di particolare rilevanza per la società" si intende un evento, sportivo o non sportivo, che soddisfi almeno due delle seguenti quattro condizioni: a) l'evento e i suoi esiti godono di risonanza speciale e generalizzata in Italia ed interessano altre persone oltre a quelle che normalmente seguono in televisione il tipo di evento in questione; b) l'evento gode da parte della popolazione di un riconoscimento generalizzato, riveste una particolare importanza culturale ed è un catalizzatore dell'identità culturale italiana; c) l'evento coinvolge la squadra nazionale di una determinata disciplina sportiva in un torneo internazionale di grande rilievo; d) l'evento è stato tradizionalmente trasmesso sulla televisione non a pagamento e ha raccolto un ampio pubblico di telespettatori in Italia».
Nonostante sia riferita ad un aspetto cruciale come la copertura dell’evento da parte dei mass media, tuttavia la nozione che ne può scaturire rimane frammentaria non contemplando altri elementi organizzativi; in più, la delibera, seppur attuativa di una direttiva comunitaria (si tratta della direttiva del Consiglio 85/558/CE del 3 ottobre 1989, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive), rimane un atto squisitamente amministrativo, emanato da un’autorità di regolazione come l’AGCOM.

 
Nell’alveo delle criticità legate all’utilizzo indiscriminato delle ordinanze di protezione civile, infine, rientra il fatto che per la dichiarazione di “grande evento” è sufficiente la sola volontà del Presidente del Consiglio dei Ministri e non dell’intero Governo in carica.
Sebbene nella prassi applicativa sia sempre intervenuto il passaggio in Consiglio dei Ministri precedentemente all’adozione di qualsivoglia decreto d’emergenza, l’articolo 5 del decreto legge n. 343 del 2001 concentra tutte le responsabilità – ed i relativi poteri – in materia di protezione civile e di grandi eventi in capo al Presidente del Consiglio. Da ciò si giunge alla «circostanza paradossale per cui il procedimento instaurativo dello stato di emergenza è più garantito di quello necessario a dichiarare un grande evento: infatti nel primo caso è giuridicamente necessaria una delibera del Consiglio dei Ministri, mentre nel secondo il Presidente del Consiglio potrebbe adottare il d.P.C.M. anche in base ad una decisione monocratica».
 
Articolo redatto dal Dott. Riccardo Cerulli - 17/03/2017 - Serie di articoli dedicati ai grandi eventi
 
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