La nozione di grande evento crea turbative del mercato che si traducono in una sistematica alterazione della libera concorrenza. Dal punto di vista economico, infatti, gli interventi emergenziali attuati in forza di ordinanze in deroga costituiscono, come è stato riscontrato, canali privilegiati per affidamenti – anche di notevole importo – spesso svincolati non solo dal rispetto delle ordinarie regole procedurali, ma anche da ogni controllo, preventivo, in itinere ed ex post.
In un simile scenario vi è il serio pericolo di rendere il sistema di mercato non più coerente con il principio di parità di trattamento degli operatori del settore, con tutte le gravissime conseguenze che ciò comporta sia in termini di malcontento degli operatori che di perdite economiche e maggiore spesa.
In questo senso, risulta notevolmente significativo un passaggio dell’Atto di segnalazione dell’AVCP del 16 giugno 2010 nel quale l’Autorità indipendente prospetta – con l’obiettivo di rispettare i principi di trasparenza e concorrenza nelle situazioni di emergenza o di eccezionalità legate ai grandi eventi – una particolare modalità di affidamento dei contratti pubblici, esattamente l’esperimento di una gara informale a cui siano invitati, dove possibile, almeno cinque operatori economici.

L’opacità delle procedure per l’organizzazione degli interventi in deroga non ha ovviamente risparmiato l’aspetto finanziario degli stessi; tanto da costringere il legislatore ad intervenire con il decreto – legge 29 dicembre 2010, n. 225 sul quadro normativo. Precisamente, l’articolo 2 («Proroghe onerose di termini») del D.L. n. 225/2010 ha, in primis, operato sostanziali modifiche alla legge n. 225/1992 – di istituzione, si ricorda, del Servizio nazionale della protezione civile – e ad altre disposizioni di legge correlate e, in secondo luogo, ha introdotto nell’articolo 5 (rubricato «Stato di emergenza e potere di ordinanza») della citata L. 225/92 tre nuovi commi, atti a meglio definire e limitare il potere di spesa connesso agli interventi emergenziali.
In precedenza, rispetto alle summenzionate modifiche legislative, infatti era assai arduo ricostruire l’effettiva dimensione della spesa direttamente o indirettamente imputabile alla Protezione civile. Per gli interventi straordinari, infatti, le ordinanze attingevano solamente in parte al "Fondo di protezione civile" ed agli altri fondi iscritti al bilancio del Dipartimento presso la Presidenza del Consiglio, poiché era possibile che si ricorresse a risorse iscritte a bilancio di altri ministeri, di regioni o enti locali, a rifinanziamenti in corso d’anno, ai Fondi per le aree sottoutilizzate (FAS) od ai Programmi operativi regionali (POR), a fondi stanziati dal CIPE, a donazioni ed atti di liberalità, a contabilità speciali di protezione civile già aperte e variamente riutilizzate.
Nonostante la possibilità di impegnare queste somme ulteriori tramite ordinanze – dacché si richiedeva una variazione al bilancio dello Stato – necessitasse di una previa autorizzazione legislativa, nella prassi tale autorizzazione era quasi sempre contenuta in decreti-legge omnibus, i quali a loro volta rinviavano, per quanto concerneva le modalità della loro attuazione, ad ordinanze di Protezione civile, generando così un iter procedurale quanto mai controverso e disorganico.
In più, laddove i fondi da impegnare erano iscritti a bilancio di enti territoriali o fossero in origine destinati ad impieghi in regioni individuate – come i fondi per le aree sottoutilizzate – occorreva, oltre all’autorizzazione legislativa, anche una previa intesa con l’ente interessato; del pari, ove si trattasse di risorse di altri ministeri, si ricorreva ad atti di concerto.
In sintesi, non vi erano unitarie forme di annotazione contabile della totalità delle risorse intermediate dalla protezione civile che potessero consentire di ricostruire compiutamente l’ammontare complessivo di queste operazioni; ad una più precisa rendicontazione non conduceva neanche il censimento delle singole ordinanze, in quanto in almeno un caso su quattro le somme non erano quantificate con chiarezza o venivano indicate con un mero rinvio ad altre fonti. Gli unici dati che si potevano presentare, per quanto parziali, erano quelli tratti dai bilanci preventivi e dal conto finanziario della Presidenza del Consiglio; cui si aggiungevano i dati relativi alle somme stanziate per le gare d’appalto, censite dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici: così facendo si è potuto verificare che i consuntivi d’anno segnavano non di rado valori anche doppi rispetto alle previsioni originarie.
Alla luce, quindi, delle criticità legate alla gestione finanziaria appena descritte, il legislatore ha imposto adeguate regole tecniche. A distanza di pochi mesi dall’emanazione del D.L. 225/10, è intervenuto nel merito anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con la Direttiva 14 marzo 2011, avente ad oggetto le disposizioni di attuazione del D.L. n. 225/2010, con particolare riferimento agli indirizzi per lo svolgimento di attività propedeutiche alle deliberazioni del Consiglio dei Ministri da adottare ai sensi dell’art. 5, comma 1, legge n. 225/92 e per la predisposizione ed attuazione delle ordinanze emergenziali.
In base alle nuove previsioni, le ordinanze per l’attuazione degli interventi di emergenza devono, in primo luogo, essere emanate di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze per ciò che concerne gli aspetti di carattere finanziario.
La Direttiva del Presidente del consiglio dei Ministri del 14 marzo 2011 chiarisce che il concerto sugli aspetti finanziari viene espresso dal Ministro dell’Economia e delle Finanze preventivamente rispetto all’acquisizione della relativa intesa regionale, in modo da assicurare sulle questioni di protezione civile una posizione unitaria del plesso statuale nei rapporti con le amministrazioni regionali. Qualora, poi, in fase di intesa il testo del provvedimento dovesse subire emendamenti rispetto alla versione precedentemente concertata, dovrà necessariamente riaprirsi la procedura di concertazione.
Una sola eccezione è prevista dalla Direttiva PCM 14/3/2011: nei casi di estrema urgenza – dove è in essere il rischio di compromissione della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente – «l’espressione del concerto potrà essere resa su singole disposizioni che potranno avere autonomo corso rispetto a quelle i cui contenuti non godono del presupposto dell'effettiva emergenza e, quindi, della maggiore urgenza.
In tali casi di somma urgenza, l'espressione del concerto potrà essere modulata dal Presidente del Consiglio, tramite il Dipartimento della protezione civile, avuto riguardo agli interessi, costituzionalmente tutelati, complessivamente incisi mediante l'azione o il ritardo nell'azione di protezione civile, sicché anche eventuali impedimenti evidenziatisi nel corso dell'iter volto alla realizzazione del coordinamento interno allo Stato non dovranno precludere l'esercizio della funzione di protezione civile complessivamente intesa. In tal modo, spetterà al Presidente del Consiglio dirimere, ai sensi dell'art. 95 della Costituzione, eventuali problematiche intervenute nel livello statuale
».

 
Per quanto concerne la trasparenza del flusso informativo, i commissari titolari di contabilità speciali – in base al comma 2-octies, art. 2, D.L. 225/10 – hanno l’obbligo di trasmettere i rendiconti all'Ufficio centrale del bilancio presso il Ministero dell'economia e delle finanze per il controllo e per il successivo inoltro alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, all'ISTAT e alla competente sezione regionale della Corte dei conti.
Oltre a ciò, l'innovazione più profonda operata dagli interventi normativi in oggetto, consiste nel fatto che la dichiarazione dello stato di emergenza viene direttamente collegata ad un dovere di spesa in capo alle regioni. L’introduzione dei nuovi commi 5-quater e 5-quinquies, art. 5, L. n. 225/92, nonché i chiarimenti forniti dalla citata Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 marzo 2011, non lasciano dubbi sul fatto che sia la regione o le regioni direttamente interessate (nel caso di più regioni pro-quota) dall’evento a doversi fare carico del reperimento delle risorse necessarie a far fronte ai fabbisogni occorrenti.
In altre parole, in queste circostanze il legislatore programma che, innanzitutto, le risorse siano individuate dalla regione – o dalle regioni – coinvolte all’interno del proprio bilancio. In secondo luogo, qualora il bilancio non rechi tale disponibilità, la norma permette alle regioni di deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote, ovvero delle maggiorazioni di aliquote fino al limite massimo consentito dalla legislazione vigente o, infine, se ancora in tal modo non è garantito il reperimento di tutte le disponibilità le regioni hanno facoltà di aumentare l’imposta regionale sulla benzina. È quindi opportuno sottolineare che il finanziamento regionale dell’intervento rappresenta un dovere – e non una possibilità – in quanto la possibilità di appellarsi alle risorse del Fondo nazionale di protezione civile è consentita solamente qualora le misure adottate dalle regioni interessate non siano sufficienti. È questa, peraltro, l’interpretazione fornita dalla menzionata Direttiva PCM 14 marzo 2011, la quale precisa che le amministrazioni regionali possono chiedere il sostegno del Fondo nazionale di protezione civile solo attestando di avere concretamente esperito le iniziative di propria competenza e per la differenza di fabbisogno tra quanto reperito per mezzo di proprie iniziative e quanto necessario per la copertura degli oneri per l’intervento emergenziale. Infine, qualora tale Fondo nazionale non sia sufficientemente capiente, il Dipartimento della protezione civile può inoltrare al Ministero dell’Economia e delle Finanze una richiesta motivata di attivazione del Fondo di riserva per le spese impreviste (previsto dalla legge 31 dicembre 2009, n. 196 – «Legge di contabilità e finanza pubblica» – all’articolo 28), fornendo al Ministero tutti gli elementi che giustificano l’impossibilità per l’amministrazione regionale di fronteggiare autonomamente l’impegno finanziario necessario alla gestione dell’emergenza.
Oltre a ciò, il D.L. n. 255/2010 allaccia, sempre nell’art. 5 della legge n. 225/1992, un elemento di trasparenza attraverso il divieto dei girofondi tra le contabilità speciali.
 
Le novità normative in tema di contenimento dei finanziamenti delle operazioni in regime derogatorio sembrano aver prodotto utili risultati poiché da un confronto con gli stanziamenti per gli anni precedenti il 2011, a fronte del progressivo incremento del numero delle ordinanze emesse (49 ordinanze nel 2009, 51 nel 2010 e 72 nel 2011), si conferma la tendenza alla diminuzione della spesa stanziata che si è ridotta di 692.590.309,67 euro e, dunque, di oltre mezzo miliardo di euro. Nonostante ciò, è importante segnalare che la Corte Costituzionale, con sentenza 16 febbraio 2012, n. 22 (Gazzetta Ufficiale n. 8 del 22 febbraio 2012) ha dichiarato «l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225».
 
In virtù di quanto fin qui commentato, è possibile sostenere che nella quasi totalità dei casi in cui il principio dell’emergenza è stato applicato ad una fattispecie di evento ampiamente prevedibile, non si sono avuti gli effetti aspettati, anche per quanto riguarda le procedure in deroga di aggiudicazione poste in essere dalle amministrazioni appaltanti, rivelatesi fallimentari – tanto sul piano dei costi, quanto sul rispetto dei tempi di consegna – con significative conseguenze sull’intero iter realizzativo delle opere. È possibile, infatti, raccogliere elementi probanti delle criticità emerse nei vari grandi eventi succedutisi nel corso degli ultimi anni.
Per i Giochi olimpici invernali che si sono svolti nella città di Torino nel 2006, ad esempio, si sono avute alcune importanti incertezze, che comprendono la gestione delle cosiddette opere connesse e l’amministrazione dei fondi stanziati per la manifestazione.
Nel primo caso, quello delle opere connesse, l’articolo 1 della legge n. 285 del 2000 ha previsto ed in gran parte finanziato, accanto alle oltre sessanta realizzazioni fondamentali per il pieno svolgimento dei Giochi, l’esecuzione di una ragguardevole cifra di interventi in rapporto di connessione con l’evento sportivo: una programmazione iniziale di settantasette opere, successivamente articolata in diversi progetti a scala locale, fino a raggiungere oltre cento progetti da porre a base d’appalto.
Nonostante il termine previsto per ultimare il progetto di tutti gli interventi considerati fosse stato fissato entro l’autunno del 2003, alla data di svolgimento dei Giochi il programma delle settantasette opere affidato all’attuazione degli Enti locali, delle ASL e delle società di diritto privato presentava un consistente ritardo, dato che meno della metà degli interventi erano stati conclusi. In questo modo disattendendo il nesso causale del programma di interventi delle opere connesse con l’evento olimpico, che era appunto uno dei criteri alla base della selezione delle opere da realizzare.

 
La criticità legata allo scostamento dei risultati rispetto agli obiettivi previsti si accentua quando si considera il fatto che le opere connesse sono state assoggettate alla disciplina del citato D.L. n. 7/2005, che aveva introdotto particolari norme derogatorie al regime dei lavori pubblici in materia di affidamento e di varianti in corso d’opera, al fine di consentire l’accelerazione delle procedure ed il tempestivo completamento delle opere olimpiche. A venti mesi dalla scadenza olimpica, erano state portate a compimento poco più della metà delle opere, circa il 28% erano in corso di realizzazione, mentre i restanti interventi non erano stati appaltati, o perché fermi alla progettazione, o perché annullati o differiti. Pertanto, il superamento di fatto del criterio di connessione temporale sembra in qualche modo aver inficiato la trasparenza della scelta delle opere da dichiarare connesse, non essendo identificabili le motivazioni per cui sono state selezionate quelle opere e non altre. Per quanto concerne il costo complessivo stimato del programma di opere, infine, questi ha subito un serio incremento, passando da 356 milioni a 370,69 milioni di Euro.
 
Sempre a conferma del fatto che il ricorso a procedure in deroga non sortisce effetti migliori rispetto alle procedure di aggiudicazione ordinarie, si può fare riferimento al 150° Anniversario dell’Unità d’Italia; grande evento grazie al DPCM 23/10/2007. L’organizzazione della manifestazione, che ha aperto cantieri in tutto il territorio nazionale, è stata infatti oggetto di indagine dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, la quale aveva partecipato alla stessa organizzazione attraverso la presenza nella Struttura di missione. Tale struttura supportava il Comitato interministeriale per le celebrazioni – istituito con lo stesso DPCM 23/10/2007 – che gestiva le attività di pianificazione, preparazione ed organizzazione degli interventi e delle iniziative legate alle celebrazioni, in raccordo con le Amministrazioni regionali e locali.
Anche in questo grande evento sono venute alla luce criticità relativamente all’efficacia delle procedure adottate, all’acquisizione dei necessari pareri ed alla disponibilità dei finanziamenti.
In primo luogo, per tutti gli interventi non sono state fornite precisazioni circa importi e procedure di affidamento per gli incarichi professionali relativi a progettazione, direzione lavori e collaudo. Al riguardo, sebbene l’OPCM n. 3632/2007 abbia disposto la deroga agli articoli del Capo IV – Sezione I del Codice dei contratti pubblici, deve evidenziarsi come la stessa ordinanza richiamasse esplicitamente il rispetto delle direttive comunitarie ed, in particolare della Direttiva n. 18/2004/CE, che prevede procedure concorsuali per l’affidamento di incarichi di importo superiore alla soglia comunitaria ed il rispetto dei principi del Trattato CE per importi inferiori.
In secondo luogo, si segnala il problema della tempistica: nonostante l’esigenza di realizzare le opere tassativamente entro la fine del 2010, si era pervenuti all’approvazione dei progetti esecutivi e alla consegna dei lavori – spesso solo parziale – in tempi notevoli, generalmente dell’ordine di 10-11 mesi dallo svolgimento della gara.
Alla luce dei ritardi menzionati, evidenziati con la Delibera n. 50 dell’11 giugno 2009, l’AVCP aveva invitato la Struttura di missione ad un attento esame della concreta realizzabilità dei progetti, individuando possibili difficoltà e ostacoli, al fine di evitare un mancato raggiungimento dell’obiettivo che il Governo si era posto dichiarando “grande evento” il complesso delle iniziative e degli interventi afferenti al 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Infine, la questione dei costi. La copertura finanziaria delle opere poste in appalto è, infatti, risultata non completa. Data l’opacità dei criteri di finanziamento, l’AVCP ha addirittura richiesto di precisare, per la totalità degli interventi, le implicazioni derivanti dalla eventuale natura comunitaria del finanziamento, con particolare riferimento a controlli, verifiche e monitoraggi conseguenti, operati da organismi comunitari o dagli stessi delegati, relativamente alle procedure adottate e alle spese effettuate e di fornire un quadro aggiornato sullo stato degli stessi.

 
Un’emblematica vicenda, in questo senso, riguarda il Nuovo Parco della Musica e della Cultura di Firenze.
Per tale intervento la Struttura di Missione ha ritenuto di poter agire in deroga al Decreto Legislativo 31 luglio 2007, n. 113, così come previsto dall’OPCM n. 3632 del 23/11/2007, ed ha indetto una gara da aggiudicare secondo il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa. L’AVCP ha però registrato un aumento sia dei tempi di realizzazione dell’opera, sia delle spese. Il costo complessivo dell’intervento è lievitato da 106,6 a 236,9 milioni di Euro, mentre l’importo contrattuale è passato da 69,8 a 130,4 milioni di Euro (compresa la perizia suppletiva approvata nel marzo 2010).
E comunque la disponibilità finanziaria per l’intervento è sempre stata insufficiente rispetto alle previsioni. Il fatto mostrava contorni atipici, tali da aver formato oggetto di attenzione da parte sia della magistratura amministrativa, che di quella contabile e penale. La giustizia amministrativa si è espressa sulla procedura di gara, affermandone l’illegittimità e riconoscendo alla ricorrente, seconda classificata, il diritto al risarcimento, a titolo di lucro cessante (pari ad Euro 3.177.320,00, ovvero il 5% dell’offerta formulata in sede di gara).

 
Il Consiglio di Stato ha evidenziato manifeste imperizie e negligenze poste in essere all’amministrazione attraverso i suoi funzionari, con le conseguenti statuizioni di condanna al risarcimento dei danni ad esse correlate e a fronte dei non chiari meccanismi di lievitazione dei costi per l’esecuzione dell’opera in questione, trasmettendo gli atti alla Procura Regionale per la Toscana della Corte dei Conti. La gestione procedurale dell’appalto in questione è inoltre oggetto di indagine da parte della competente Procura della Repubblica per gli aspetti di carattere penale.
 
Identiche difficoltà hanno caratterizzato il grande evento Mondiali di nuoto «Roma 2009», per il quale la costruzione di sessantatre nuovi impianti è avvenuta in deroga ad un rilevante numero di articoli del codice dei contratti.
Deroghe inizialmente previste nell’OPCM 29 dicembre 2005, n. 3489 e nell’OPCM 15 giugno 2007. La prima di tali ordinanze, dopo aver individuato il Commissario delegato per la realizzazione delle opere e degli interventi funzionali allo svolgimento dei mondiali di nuoto Roma 2009 ed averne fissati i poteri, agli articoli 4 e 5 disponeva in particolare: art. 4, comma 2 «Per l’affidamento della realizzazione delle opere e degli interventi, per il conseguimento delle occorrenti forniture e servizi e per ogni acquisizione ritenuta necessaria, nonché per il miglioramento dei servizi funzionali all’evento, è autorizzato il ricorso alle deroghe di cui all’art. 5, tenuto conto della somma urgenza derivante dalla celebrazione del grande evento», e Art. 5 «1. Per il compimento delle iniziative previste dalla presente ordinanza il commissario delegato, ove ritenuto indispensabile, è autorizzato a derogare, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, delle direttive comunitarie e della direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 ottobre 2004, alle seguenti disposizioni normative: ... Legge 11 febbraio 1994, n. 109 articoli ..., 4 , ... omissis …, nonché le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n.554, per le parti strettamente collegate e, comunque, nel rispetto dell’Art.7, lettera c), della direttiva comunitaria n.93/3».
Infine, l’OPCM 15 giugno 2007, in aggiunta alle deroghe disposte nella citata Ordinanza n.3489/2005, ha autorizzato la deroga ad ulteriori disposizioni del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, entrato nel frattempo in vigore. Con tale Ordinanza si procedeva, quindi, ad autorizzare la deroga ad un rilevante numero di articoli del codice dei contratti (quelli relativi alla figura del responsabile del procedimento, alla qualificazione necessaria per eseguire i lavori, alle procedure di scelta del contraente, alle modalità di pubblicazione dei bandi ed ai relativi termini, ai criteri di selezione delle offerte e verifica delle offerte anormalmente basse, alla progettazione, alle garanzie in fase di gara ed esecuzione, ai subappalti).
 
Articolo redatto dal Dott. Riccardo Cerulli - 23/03/2017 - Serie di articoli dedicati ai grandi eventi