L’estensione dell’applicazione del potere di ordinanza ai cosiddetti grandi eventi ha reso possibile un uso distorto e strumentale del concetto di emergenza, dando luogo – sin dal 2001 – ad un reiterato abuso ed un uso improprio dello strumento dell’ordinanza di protezione civile.
I poteri del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di protezione civile – che dovrebbero avere come scopo solamente impieghi rivolti «alla tutela dell'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri grandi eventi, che determinino situazioni di grave rischio» (art. 5 - «Competenze del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di protezione civile» - del citato decreto – legge 7 settembre 2001, n. 343) sono stati dilatati fino a comprendere il coordinamento di una nutritissima serie di grandi eventi e delle relative attività organizzative e realizzative, come pure la predisposizione e la stipula dei relativi contratti di appalto.

L'ordinanza di protezione civile si è così trasformata in uno atto ordinario di governo avente, nei suoi settori di applicazione, una sostanziale forza di legge da impiegare a fronte di condizioni che indiscutibilmente la stessa amministrazione politica può valutare come presupposti per dichiararne un grande evento. Può infatti trattarsi delle più variegate circostanze, come eventi culturali, incontri politici, manifestazioni religiose e popolari, esequie, celebrazioni civili ed eventi sportivi.
Un processo di elusione di qualsiasi tipo di controllo – in particolare sull’affidamento di appalti a trattativa privata – terminato, come detto, con l’esclusione del controllo preventivo di legittimità anche delle ordinanze aventi ad oggetto la gestione dei grandi eventi.

Ciò premesso, per il prosieguo dell’indagine è utile ricordare che gli interventi della Corte dei Conti precedentemente richiamati trovano il loro punto di riferimento nella deliberazione delle Sezioni Centrali n. 5/2010/P del 4 marzo 2010.
Quest’ultima, a sua volta, è figlia di una risalente attenzione della magistratura contabile per il fenomeno della proliferazione delle ordinanze di protezione civile, con particolare riguardo a quelle per grandi eventi.
Già nel 2008, infatti, con una lettera dell’Ufficio di controllo preventivo di legittimità sugli atti dei Ministeri istituzionali, la Corte dei Conti chiese alla Presidenza del Consiglio dei ministri di trasmettere al controllo le delibere e le ordinanze di protezione civile. Dopo che la Presidenza presentò le proprie motivazioni in base alle quali riteneva di non dover aderire alla richiesta, però, fece il suo ingresso nell'ordinamento la norma
di interpretazione autentica contenuta nell'articolo 14 del più volte richiamato d.l. n. 90/2008, bloccando l’iniziativa della Corte. Essa, nonostante ciò, non rinunciò alla propria rimostranza, appuntando, nella relazione al Parlamento sull’esercizio 2008, tra l’altro, che «le ordinanze di protezione civile, soprattutto a partire dal 2002, hanno progressivamente esteso il loro ambito operativo con riflessi anche quantitativi sulla nuova classificazione di bilancio in ordine al “soccorso civile”.
Ciò impone una riflessione, oltre che sul versante squisitamente contabile, anche su quello ordinamentale, a partire dalla verifica della sussistenza dei presupposti legittimanti il ricorso ad uno strumento che, ex se, non dovrebbe essere considerato sostitutivo delle ordinarie procedure allorché non siano rinvenibili situazioni realmente emergenziali e, in quanto tali, non prevedibili. Tali osservazioni riguardano in particolare l’applicazione sempre più ricorrente dell’art. 5 bis della legge n. 225 del 1992, che estende il regime relativo allo stato di emergenza ed al potere di ordinanza di cui all’art. 5 della legge 225/1992, anche alle ipotesi dei “grandi eventi”, relativamente ai quali la norma non dà una definizione precisa del contenuto di tale nozione e quindi dei presupposti per il ricorso alle procedure derogatorie. La genericità della previsione normativa, che consente ampia discrezionalità all’Amministrazione di qualificare singole iniziative quali “grande evento”, richiede un uso misurato dello strumento, tanto più che con norma interpretativa è stata disposta la non assoggettabilità a controllo preventivo dei predetti provvedimenti (art. 14 del D.L. n. 90/2008). Negli anni più recenti il ricorso alle ordinanze di necessità ed urgenza è cresciuto in modo notevole; le stesse hanno riguardato eventi che, in taluni casi, appaiono svincolati da un carattere emergenziale, anche in considerazione della programmabilità delle attività connesse con iniziative destinate a concludersi in ampi archi temporali e comunque non del tutto riconducibili al concetto di “grande evento”» (Relazione Corte dei Conti al Parlamento sull’esercizio 2008 – Volume II, Ministeri istituzionali, pag. 159).
 
Questo orientamento si è poi tradotto, a livello giurisprudenziale, nella deliberazione della Sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato n. 23/2009/P del 19 novembre 2009. Per la prima volta, attraverso tale sentenza, è stata dichiarata soggetta al controllo preventivo di legittimità un’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri (Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3794 del 30 luglio 2009, concernente «misure per il rilancio dell’immagine dell’Italia e del settore turistico in connessione con le celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e con l’evento Expo 2015»; non potendosi il suo contenuto inquadrare in situazioni disciplinate in regime derogatorio.
La Corte dei Conti, infine, con la citata deliberazione n. 5, affronta gli aspetti nevralgici della questione dei grandi eventi, formalizzando così un precedente che si rivelerà un cardine non solo per la giurisprudenza successiva, ma anche per la riflessione del legislatore che ha portato all’abrogazione dei grandi eventi con la legge 24 marzo 2012, n. 27.

In estrema sintesi, i magistrati contabili hanno agito su tre decisivi livelli: in primis, sulla sindacabilità della scelta discrezionale del Governo; in secondo luogo, sull’esenzione degli atti in analisi dal controllo preventivo di legittimità e, infine – in conseguenza del punto precedente – sulla riclassificazione degli stessi atti al fine di ricomprenderli nell’alveo dell’art. 3 della legge n. 20/1994.Per quanto concerne l’eccezione sollevata dall’amministrazione in merito ad un’asserita insindacabilità delle scelte discrezionali, l’avvocato in rappresentanza del Dipartimento della Protezione Civile ha eccepito «l’insindacabilità del D.P.C.M. del 2 ottobre 2010 dichiarativo del “Grande evento”, atto presupposto rispetto alla successiva ordinanza, di per sé sottratto a controllo preventivo di legittimità in forza dell’art. 14 del decreto legge 90/2008, e comunque espressione di scelte altamente discrezionali», la Sezione centrale di controllo di legittimità ha immediatamente indicato come il fulcro della controversia non fosse quello della discrezionalità, quanto piuttosto la verifica della facoltà dell’amministrazione di dichiarare il grande evento. Verifica che avrà esito negativo perché difetterebbe il presupposto per la dichiarazione di grande evento come la legge intende configurarlo – come meglio verrà chiarito più avanti – e pertanto si rilevava «ultroneo verificare la conformità a legge delle scelte discrezionali».
Nondimeno, la Corte si è soffermata sulla natura di atto presupposto del decreto, ribadendo che «la problematica dell’atto presupposto è stata più volte affrontata da questa Sezione, dopo che l’art. 3, comma 1 della legge 20/1994 ha elencato in modo tassativo le tipologie di atti soggette a controllo preventivo di legittimità; la conclusione a cui si è giunti, ormai in forma consolidata, è che gli atti propriamente “presupposti” non possono essere attratti al controllo in sede di esame di atti consequenziali; al tempo stesso, però, un altrettanto costante orientamento di questa Sezione (confermato dalle Sezioni Riunite con deliberazione n. 37/E del 29 dicembre 2000) è nel senso che gli atti presupposti possono essere sottoposti al controllo congiuntamente ai provvedimenti conseguenti, allorché costituiscono atti preparatori e procedimentali, finalizzati al provvedimento da controllare, e non siano dotati di distinta autonomia funzionale.Ad avviso della Sezione, è appunto questo il caso del decreto che dichiara il “Grande evento”, il quale costituisce un semplice momento di una procedura complessa che dà origine ad un atto a formazione progressiva, che acquista valenza concreta soltanto con l’atto conclusivo costituito dall’ordinanza di protezione civile: sicché nulla si oppone, sotto tale profilo, all’esame congiunto del decreto dichiarativo e dell’ordinanza».

 
Giungendo quindi al tema centrale della sentenza – l’esenzione dal controllo preventivo di legittimità ex articolo 14, D.L. 23 maggio 2008, n. 90 per gli atti emanati in base all’articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 ed all’articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343 – la Corte ha valutato che nella fattispecie esso non trovasse applicazione, in quanto l’ordinanza n. 3838 ed il sottostante decreto di dichiarazione di grande evento non rientravano nella previsione dell’art. 5 bis del decreto legge 343/2001, il quale «richiede quale condizione indispensabile che si tratti di “grandi eventi rientranti nella competenza del Dipartimento della protezione civile”, e tale competenza non può che essere ricavata dal combinato disposto dell’art. 5, commi 1 e 4 del medesimo decreto legge 343/2001 (così come modificati dall’art. 4, comma 1 del decreto legge 31 maggio 2005, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 26 luglio 2005, n. 152), i quali prevedono, tra l’altro, che la titolarità della funzione in materia di protezione civile spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale la esercita avvalendosi del Dipartimento della protezione civile, con riguardo alle attività “finalizzate alla tutela dell’integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi o da altri grandi eventi, che determinino situazioni di grave rischio”. Non qualsiasi “grande evento”, quindi, rientra nella competenza del Dipartimento della protezione civile, ma vi rientrano solo quegli eventi che, pur se diversi da calamità naturali e catastrofi, determinano situazioni di grave rischio per l’integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni o dal pericolo di danni.
 
Né può giustificare una diversa interpretazione il fatto che l’art. 1, comma 2, lettera “c” della legge 225/1992 attribuisce alla struttura nazionale di protezione civile la competenza in caso di “calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”, essendo di tutta evidenza che l’invocato art. 1 (intitolato “Tipologia degli eventi ed ambiti di competenze”) ha la limitata funzione di distinguere i vari livelli di intervento, a seconda che sia sufficiente l’attività dei singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria (lettera “a”), ovvero risulti necessario l'intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria (lettera “b”), ovvero che occorra l’impiego di mezzi e poteri straordinari (lettera “c”), fermo restando, ad avviso della Sezione, che deve pur sempre trattarsi di eventi che mettano a grave rischio di compromissione interessi primari.
Del resto, la stessa Amministrazione, nelle sue controdeduzioni, afferma che le ordinanze emanate in occasione di “grandi eventi” di cui all’art. 5 bis del decreto legge 343/2001 “non costituiscono una fattispecie distinta rispetto a quelle attinenti ad eventi stricto sensu calamitosi di cui all’art. 5 della legge 225/1992, appartenendo entrambe le fattispecie ad un unico genus”.
Orbene, tale affermazione può essere condivisa, ma in un senso diametralmente opposto a quello prospettato dall’Amministrazione, cioè nel senso che anche i “grandi eventi”, per rientrare nella competenza della Protezione civile, debbono appartenere al più ampio genere costituito dalle situazioni di grave pericolo».

 
In sintesi, la deduzione dei giudici contabili sottolineava il fatto che non tutto ciò che è dichiarato come grande evento debba, necessariamente, essere affidato al Dipartimento della Protezione civile. Quest’ultimo sarà destinatario solo ed esclusivamente di situazioni che, seppure non strettamente connesse a calamità naturali, possono allo stesso modo rappresentare un rischio serio per la vita e l’ambiente.
Argomentazione che, ad avviso della Corte dei Conti, non solo appariva più aderente all’interpretazione letterale della norma, ma risultava anche in linea con la volontà del legislatore che certo non può ammettere il proliferare di ordinanze di urgenza, in deroga alle leggi ordinarie, se non allo scopo di tutelare interessi primari e costituzionalmente garantiti. Un diverso modo di ragionare sarebbe stato privo di qualsiasi fondamento costituzionale ed è proprio in virtù di tale assunto che la sezione della Corte ha puntato a fornire un’interpretazione “costituzionalmente orientata” della norma nel senso di limitare la potestà di emettere ordinanze solo ed esclusivamente in ipotesi di assoluta emergenza. Difatti, sosteneva la Corte, di fronte a profili di dubbia legittimità costituzionale, è dovere del giudice non richiedere comunque l’intervento della Corte costituzionale se detti profili di illegittimità possono essere superati attraverso una interpretazione della norma più aderente ai principi costituzionali.

 
Esclusa quindi l’applicabilità dell’esenzione dal controllo di legittimità, ai giudici contabili non restava che accertare se l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 dicembre 2009, n. 3838 rientrasse in una delle tipologie tassativamente previste dall’art. 3, comma 1 della legge 20/1994.
L’opzione è ricaduta sulle direttive generali per l’indirizzo e lo svolgimento dell’azione amministrativa, precisando che la stessa giurisprudenza della Sezione centrale della Corte dei Conti sul tema delle direttive fosse nel senso che «per direttiva si intende la formulazione di un principio suscettibile di applicazione ad una pluralità di atti, rivolto a conformare il contenuto degli atti medesimi, e destinato a rimanere fermo per il tempo necessario a ricevere concreta attuazione» e che tali caratteristiche si rinvenivano appieno nell’ordinanza in questione. Essa, infatti: indica degli obiettivi da perseguire, lasciando all’autorità incaricata di adattare il suo comportamento alle circostanze, con margini di discrezionalità quanto ai tempi ed ai modi (differenziandosi in ciò dall’ordine); istituisce strutture organizzative sia pure temporanee, disciplinandone funzioni e trattamento economico; autorizza ampie deroghe alla normativa in vigore.

 
In conclusione, nella vicenda esaminata con la deliberazione n. 5/2010/P è stato posto in evidenza il difficile rapporto tra necessità emergenziale e legalità; rapporto sul quale la Corte dei Conti – attraverso un’interpretazione delle norme emanate in materia – ha imposto dei paletti da porre ai possibili “sconfinamenti” dell’esecutivo.
Un immediato effetto ottenuto è stata la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 luglio 2010, avente ad oggetto «Nuovi indirizzi per la dichiarazione dello stato di emergenza e di grande evento», che definisce indirizzi relativi alla deliberazione dello stato di emergenza ed individua una serie di criteri di riferimento per la dichiarazione di grande evento. In quest’ultimo caso, la direttiva considera tali manifestazioni come delle situazioni straordinarie aventi «potenzialità atte a generare stravolgimenti nell’ordinario sistema sociale» e, quindi, causa di un’accentuazione dei rischi, i quali – pur essendo prevedibili e prevenibili solo parzialmente – devono attenere alla compromissione dell'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente. Alla luce di tale interpretazione, per il Presidente del Consiglio appare quindi necessario individuare i presupposti che, almeno in linea di principio generale, devono sussistere per consentire il ricorso agli strumenti previsti dal citato decreto-legge n. 343 del 2001. La stessa direttiva aggiunge che «nell'indicata prospettiva, risulta utile prendere le mosse dalla considerazione che gli stati di emergenza nazionale di protezione civile ed i «grandi eventi», pur se aventi ad oggetto situazioni fattuali oggettivamente diverse e non riconducibili tipologicamente l'una all'altra, trovano tuttavia un denominatore comune nell'accertata esigenza di porre mano a strategie di intervento finalizzate al conseguimento, mediante il ricorso a mezzi e poteri straordinari, di obiettivi di preminente interesse pubblico non altrimenti raggiungibili, sulla base degli ordinari assetti normativi e procedurali, entro i ristretti orizzonti temporali imposti da circostanze esterne.

Le esigenze di intervento nell'ambito dei «grandi eventi» possono prodursi dalla coesistenza di ambiti settoriali assai disparati e mutevoli, in relazione al contesto territoriale di riferimento».
 
Le analisi o proposte per le determinazioni del Consiglio dei Ministri in merito alla dichiarazione di grande evento dovranno quindi tener conto dei seguenti parametri:
1) complessità organizzativa dell'evento tenuto conto della rilevanza e della sua dimensione nazionale o internazionale, delle autorità partecipanti, dell'impatto sull'economia e sullo sviluppo, anche infrastrutturale dell'area interessata, della prevedibile elevata affluenza di pubblico e di operatori economici, del rischio di compromissione per l'ambiente ed il patrimonio culturale del Paese;
2) esigenza di provvedimenti e piani organizzativi straordinari per garantire la sicurezza, anche in considerazione dell'impiego eccezionale e coordinato di uomini e mezzi, della necessità di adottare misure eccezionali per l'accesso ai luoghi interessati dall'evento e di salvaguardare lo svolgimento delle attività economiche e dei servizi pubblici;
3) necessità di adottare misure straordinarie per l'uso del territorio, la mobilità, la viabilità ed i trasporti;
4) definizione ed esecuzione, anche con procedure semplificate, di piani sanitari di natura eccezionale, finalizzati a garantire il pronto intervento anche attraverso l'utilizzo straordinario di personale, mezzi e strutture;
5) adozione di misure, volte ad evitare che dalla celebrazione dell'evento possano derivare conseguenze negative a carico del territorio.

 
Nonostante le innovative sentenza della Corte dei Conti appena citate e la presenza della Direttiva PCM 27 luglio 2010, le indicazioni in esse contenute sono state più volte disattese. Tra i vari esempi, il più grave è senza alcun dubbio il caso dell’Expo 2015 di Milano, per il quale le relative ordinanza contengono deroghe, spesso molto estese, alle disposizioni del Codice dei contratti pubblici.
Una situazione controversa che – come già anticipato – è stata propedeutica per l’intervento abrogativo dei grandi eventi realizzatosi con la legge n. 27 del 2012.

 
Alla luce dell’analisi compiuta si può osservare come l’utilizzo di atti in deroga ad ogni disposizione vigente nel settore degli appalti pubblici possa provocare la sottrazione di una fetta di mercato non irrilevante alla disciplina ordinaria ed alle ordinarie forme di controllo della spesa.
A fronte di tale contesto si sono succeduti nel tempo interventi della Magistratura – civile, contabile ed amministrativa – nonché dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, tendenti a fissare i confini dell’esercizio del potere emergenziale per evitare il verificarsi di situazioni di abuso.
L’attenzione si è focalizzata soprattutto nella definizione dei presupposti per l’adozione delle ordinanze e dei limiti sia del potere ordinatorio, sia del potere di deroga alla normativa primaria.
Quest’ultima, rappresentata in particolare dal Codice degli appalti pubblici nell’ordinamento nazionale, si pone l’obiettivo, sulla scorta dell’introduzione dei principi fondamentali di matrice comunitaria attraverso le direttive appalti, di aumentare il tasso di concorrenza.
Un sistema concorrenziale, infatti, è strumentale al conseguimento della libera circolazione intracomunitaria delle merci e dei servizi anche nel settore pubblico, con conseguenti effetti vantaggiosi sul lato della domanda, in termini di maggiore qualità ed economicità degli affidamenti. Per altro verso, nell'ottica dell'offerta verrebbe perseguito il fine di realizzare un mercato unico nel settore degli appalti pubblici, dove sviluppare le imprese europee in modo tale da consentir loro di competere anche con imprese extracomunitarie in un'ottica globale.
Il ruolo della concorrenza come principio ispiratore si può evincere anche dalla riforma del Titolo V della Costituzione della Repubblica Italiana avvenuta con la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, laddove si riserva alla competenza esclusiva dello Stato la tutela della concorrenza. Nella contrattualista pubblica ciò ha rappresentato il definitivo superamento della concezione che vedeva la procedimentalizzazione dell'attività di scelta del contraente dettata nell'esclusivo interesse dell'amministrazione.
Il mutamento di prospettiva incide sull'assetto sostanziale e sull'approccio metodologico di regolazione degli appalti pubblici, nonché nell'interpretazione e nell'applicazione della relativa disciplina. Per un verso, la visione contabilistica della disciplina degli appalti pubblici pretende un reticolo fitto di regole rigide di tipo command and control. Per altro verso, la visione pro concorrenziale di natura comunitaria concede più ampie aree di flessibilità alle stazioni appaltanti, introducendo anche momenti di regolazione cooperativa, cioè di interazione con i privati al fine di ridurre le asimmetrie informative.
Gli obiettivi di tutela dell’amministrazione e dell’erario, tipici della legislazione nazionale pre comunitaria, e quelli di trasparenza e par condicio, introdotti dalle norme comunitarie, si sintetizzano nell’applicazione delle procedure ad evidenza pubblica che dominano l’attività contrattuale della pubblica amministrazione.
È però emerso un impiego sempre più massiccio da parte del Governo del potere di emergenza, giustificato dall’insorgere di una situazione contingibile ed urgente, che permette di derogare alle disposizioni vigenti in nome di una necessità incombente di intervento al fine di tutelare beni costituzionalmente protetti quali la vita, la salute e la sicurezza.
Nel corso del tempo, l’uso di tale potere derogatorio si è trasformato in abuso, perpetrato soprattutto con le c.d. ordinanze di protezione civile, le quali hanno concorso al consolidamento di un impianto eccezionale – parallelo e alternativo a quello ordinario – consentendo un’estensione dei presupposti dell’emergenza e lo stabilizzarsi delle deroghe alle leggi vigenti ed al sistema ordinario delle competenze. Tutto ciò attraverso il ricorso imponente da parte del Consiglio dei ministri alla dichiarazione dello stato di emergenza.
Al processo di allontanamento dalle procedure ordinarie nell’utilizzo di poteri di ordinanza ha contribuito l’introduzione nell’ordinamento nazionale del comma 5, articolo 5-bis del decreto – legge 343 del 2001, attraverso il quale è stato esteso il ricorso al potere di ordinanza con riferimento ai grandi eventi.
In sostanza, quasi ogni accadimento non ordinario – quale può essere un terremoto, una tensione sociale legata al cattivo smaltimento di rifiuti in zone urbane o il funerale di un pontefice – viene gestito con atti amministrativi che derogano a normative di vario genere, in particolare quelle concernenti le procedure contrattuali, e talora sommariamente indicate. Creando così una stretta correlazione tra straordinarietà dell’evento e straordinarietà del potere, concentrato nell’ambito del sistema di protezione civile.
Come già anticipato, la scienza giuridica ha più volte posto l’accento sulle numerose criticità derivanti dall’utilizzo di questo sistema parallelo.
In primis, il mancato rispetto dei limiti del potere d’urgenza. Nella disamina dell’amministrazione dei fatti emergenziali, infatti, si ravvisa facilmente come per la gran parte dei casi lo stato di emergenza è procrastinato nel tempo – a volte per anni, come nell’emergenza rifiuti nella regione Campania – perdendo così il presupposto della contingibilità ed acquisendo un’efficacia sine die.
Alla validità illimitata nel tempo delle ordinanze, inoltre, si aggiungono spesso la mancanza di un’adeguata motivazione e del nesso di strumentalità tra lo stato di emergenza e le norme di cui si consente la temporanea sospensione e, soprattutto, la non conformità del provvedimento stesso ai principi dell’ordinamento giuridico, nazionali e comunitari.
Attraverso l’osservazione degli articoli derogati dalle ordinanze, infatti, si può riscontrare come il rispetto dei principi fondamentali del Codice dei contratti pubblici – tra i quali tutela della libera concorrenza, divieto di discriminazione a causa della nazionalità, eguaglianza, proporzionalità, trasparenza, pubblicità – è fortemente compromesso.

Ci si è chiesto, a questo punto, se, nonostante le problematiche appena descritte, l’uso dei poteri d’emergenza fosse comunque in grado di attenuare efficacemente quelle difficoltà derivanti da situazioni di necessità, in cui l’uso dei poteri ordinari non sembri adeguato.
La risposta, purtroppo, deve essere negativa, poiché nelle modalità in cui è stato di fatto utilizzato, il potere derogatorio non sembra aver risolto né i problemi relativi al rispetto dei tempi e delle previsioni progettuali, né quelli legati al contenimento della spesa effettiva nei limiti di quella preventivata.
Dello stesso avviso, del resto, appare il legislatore che è più volte intervenuto con l’obiettivo di contingentare l’uso delle ordinanze contingibili ed urgenti, fino a riformare la Protezione Civile con il decreto – legge n. 59 del 15 maggio 2012 («Disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile»).
Le nuove disposizioni sono state dettate nell’ottica di una riconduzione della Protezione Civile al nucleo originario di competenze, con la finalità prevalente di rendere più incisivi gli interventi nella gestione delle emergenze. In questo contesto si collocano anche, da una parte, l’abrogazione della norma di estensione delle disposizioni della Legge n. 225/92 alla dichiarazione dei grandi eventi e, dall’altra parte, le modifiche apportate alle Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei Conti, dalle quali si ricava l’intenzione del legislatore di sottoporre ad un maggiore controllo, anche preventivo di legittimità della Corte dei Conti, le ordinanze in deroga per l’attuazione degli interventi conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza.
Le correzioni normative avviate dal d.l. n. 52/2009 hanno replicato alle osservazioni critiche della Magistratura e dell’autorità di vigilanza. In particolare, si può evidenziare che sono stati irrobustiti i confini al potere di deroga, affermando – di fianco al necessario rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico – l’ancoraggio ai criteri indicati nel decreto di dichiarazione dello stato di emergenza e specificando quali attività possono essere oggetto dell’intervento emergenziale.
È stata inoltre assolta la duplice esigenza di definire per legge sia un lasso temporale al potere emergenziale che il quadro relativo alla copertura economica.
In conclusione, il legislatore tenta di porre un freno all’ipertrofico impiego dei poteri d’ordinanza, ristabilendo le opportune condizioni affinché siano le sole vere emergenze il presupposto all’utilizzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizioni vigente e non anche svariati accadimenti che poco o nulla hanno a che fare con situazioni di emergenza.
 
Articolo redatto dal Dott. Riccardo Cerulli - 19/04/2017 - Serie di articoli dedicati ai grandi eventi