Lo staff di tusciafisco.it segnala la pubblicazione della Comunicazione UIF del 2.12.2013 (download .pdf), avente ad oggetto «Schema rappresentativo di comportamenti anomali ai sensi dell'art. 6, comma 7, lett. B) del d.lgs 231/2007 - Operatività connessa con l'anomalo utilizzo di trust».
 
Di seguito il resto della comunicazione:
«1. Come noto il trust, istituto che trova origine nella cultura e nell’esperienza giuridica anglosassone, non è espressamente disciplinato nell’ordinamento giuridico italiano.
Tuttavia, per effetto della ratifica da parte dell’Italia della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 - entrata in vigore nel nostro Paese il 1° gennaio 1992 a seguito della legge 16 ottobre 1989, n. 364 - sono riconosciuti anche nel nostro Paese effetti giuridici al trust costituito secondo la legge di un altro Stato che preveda tale istituto. In particolare, da diversi anni in Italia sono diffusi i c.d. trust interni i cui unici elementi d’internazionalità sono costituiti dalla legge regolatrice del trust e, in alcuni casi, dal luogo di residenza del trustee.

Di regola, a seguito della istituzione del trust il proprietario di alcuni beni (disponente, settlor o grantor) se ne spoglia, conferendo gli stessi (fondo in trust) a un terzo soggetto (trustee, persona fisica o giuridica), che li amministra in favore di uno o più beneficiari o per il perseguimento di uno scopo determinato. Poteri di controllo e di intervento nei confronti del trustee sono in alcuni casi attribuiti ad un protector o guardian, figura non necessaria, ma ricorrente.
Il trust è caratterizzato da un effetto segregativo, in quanto i beni in trust, pur intestati a nome del trustee, costituiscono una massa distinta che non fa parte del patrimonio del trustee né di quello del settlor che se ne è spossessato. Il trustee ha il diritto-dovere di amministrare e disporre dei beni in trust, nei termini dell’atto istitutivo ed è tenuto a obblighi di rendicontazione nei confronti dei beneficiari, del disponente ovvero del protector.
Le finalità perseguite anche attraverso l’effetto patrimoniale “segregativo” proprio del trust possono essere varie: filantropiche (ad esempio per scopi caritatevoli); successorie o volte a favorire il passaggio generazionale di aziende; dirette a preservare il fondo del trustee da future pretese creditorie (nel rispetto degli obblighi di responsabilità patrimoniale sanciti dal codice civile).
2. I competenti organismi internazionali in materia di prevenzione e contrasto al riciclaggio, in particolare il GAFI, hanno da tempo
posto in luce i possibili utilizzi abusivi del trust per finalità di riciclaggio. Le 40 Raccomandazioni, approvate nel febbraio 2012, rafforzano gli standard in materia di trasparenza dei trust e di altri schemi analoghi, specie con riferimento a obblighi di acquisizione e conservazione di informazioni complete e aggiornate sulla titolarità effettiva degli stessi (Raccomandazione 25 e
relativa Nota Interpretativa).
L’analisi finanziaria delle segnalazioni di operazioni sospette e gli approfondimenti investigativi confermano che il trust può essere utilizzato in modo distorto a fini criminali; i profili di criticità dei trust interni e di quelli esteri si configurano diversamente.
In relazione a quanto precede, è opportuno richiamare i destinatari degli obblighi antiriciclaggio che a vario titolo entrano in rapporto con il trust (sia in fase d’istituzione, sia in quella di esecuzione) a prestare particolare attenzione alle caratteristiche e alle finalità del medesimo.
Nelle valutazioni dei destinatari assumono centralità le informazioni da raccogliere in sede di adeguata verifica della clientela, specie in ordine alle finalità in concreto perseguite dalle parti, all’identità dei beneficiari e del trustee, alle modalità di esecuzione del trust. Le informazioni desunte dall’atto istitutivo sono fondamentali per rilevare un possibile utilizzo distorto del trust, la cui dimensione patologica emerge proprio quando esso nella sua configurazione concreta si discosta significativamente, per uno o più elementi, da quella tipica dell’istituto. Occorre assicurarsi che sia fornita l’ultima versione dell’atto istitutivo, in quanto non è infrequente che il medesimo sia oggetto di successive modifiche.
In particolare, pur avendo presente che nella pratica le diverse figure del disponente, del trustee, del beneficiario e del guardiano possono legittimamente non corrispondere ad altrettanti soggetti distinti, occorre considerare che nei casi di cumulo di ruoli in capo al medesimo soggetto appare più elevato il rischio che il trust sia utilizzato per realizzare situazioni di mera interposizione soggettiva per finalità improprie o illecite. Rilevano, altresì, una serie di altre circostanze soggettive o oggettive, che possono denotare un utilizzo dell’istituto del trust per dissimulare comportamenti anomali.
3. In relazione a quanto precede, - ai sensi dell’art. 6, comma 7, lettera b) del decreto legislativo n. 231 del 2007 e successive modifiche e integrazioni – questa Unità ha elaborato l’accluso schema rappresentativo di comportamenti anomali riconducibili a un utilizzo distorto del trust.
Si precisa che, da un lato, per il corretto adempimento degli obblighi di segnalazione di operazioni sospette non è necessario ricorrano contemporaneamente tutti i comportamenti descritti nello schema operativo, dall’altro, che la mera ricorrenza di singoli comportamenti individuati nello schema non è motivo di per sé sufficiente per effettuare la segnalazione stessa.
Qualora emergano operazioni sospette riconducibili al fenomeno descritto, è necessario che i soggetti tenuti le segnalino con la
massima tempestività, ove possibile prima di dar corso alla loro esecuzione, specificando il fenomeno stesso nell’apposita sezione
della segnalazione, in conformità con quanto indicato nelle istruzioni per la compilazione della segnalazione di operazioni sospette.
Sarà cura dei soggetti tenuti agli obblighi di segnalazione, nell’ambito della propria autonomia organizzativa, diffondere apposite indicazioni operative fra il personale e i collaboratori incaricati della valutazione delle operazioni sospette.
Nei rapporti e nelle operazioni con i trust i destinatari degli obblighi antiriciclaggio valutano la ricorrenza dei seguenti fattori:
1. Sotto il profilo soggettivo
- istituzione di trust da parte di soggetti che, in base alle informazioni disponibili, risultano:
  • in una situazione finanziaria di difficoltà o prossima all’insolvenza ovvero sottoposti in passato a procedure fallimentari o di crisi;
  • gravati da ingenti debiti tributari con l’Amministrazione finanziaria;
- presenza a vario titolo nel trust di soggetti che, in base alle informazioni disponibili, sono sottoposti a indagini;
- conferimento dell’incarico di trustee a soggetto che, in base alle informazioni acquisite in sede di adeguata verifica, presenta un profilo palesemente incoerente con la complessità dell’attività gestoria richiesta e le finalità del trust (ad es. per entità/natura dei cespiti del fondo);
- reticenza del trustee nel fornire documentazione inerente al trust (es. atto istitutivo), con conseguente ostacolo all’individuazione del titolare effettivo e dello scopo del trust;
- coincidenza tra disponente e trustee (cd. trust autodichiarato), tra disponente e guardiano, ovvero sussistenza di rapporti di parentela o anche di lavoro subordinato fra gli stessi;
- frequente rilascio da parte del trustee di deleghe ad operare, specie se a favore del disponente o di soggetti a lui prossimi;
- revoca del trustee da parte del guardiano priva di apparente giustificazione;
- finalità del trust che appaiono incongrue rispetto ai rapporti personali, economici o giuridici intercorrenti tra disponente
e beneficiari del trust ovvero tra disponente e guardiano;
- presenza del disponente fra i beneficiari di capitale o indicazione dello stesso quale unico beneficiario, specie se non risulta chiaramente percepibile la causa istitutiva del trust.
2. Sotto il profilo oggettivo
- istituzione del trust per scrittura privata autenticata e/o atto pubblico con ravvicinata ampia modifica dell’atto stesso mediante adozione di diversa forma giuridica (es. scrittura privata non autenticata);
- istituzione del trust in paesi o territori a rischio6, specie se il disponente o un beneficiario è residente in Italia, o se il fondo sia costituito anche con beni immobili siti in Italia;
- collocazione del trust al vertice di una complessa catena partecipativa, soprattutto se con diramazioni in paesi o territori a rischio;
- presenza, nell’atto istitutivo del trust, di clausole che:
  • subordinano sistematicamente l’attività del trustee al consenso del disponente, dei beneficiari o del guardiano, specie in presenza di rapporti di parentela o di contiguità tra trustee e detti soggetti;
  • impongono al trustee l’obbligo di rendiconto nei confronti del solo disponente, specie se questi non figuri fra i beneficiari;
  • prevedono il sistematico e ingiustificato utilizzo da parte del disponente di beni conferiti in trust;
  • non risultano comprensibili dal disponente in quanto particolarmente complesse;
- costituzione in trust di:
  • beni la cui consistenza o natura risulti incoerente rispetto alle finalità o alla tipologia del trust;
  • beni recentemente pervenuti al disponente di cui non sia nota la provenienza, specie nel caso di trust opaco;
  • aziende con indicazione nell’atto istitutivo del trust di finalità generiche;
- attività gestoria da parte del trustee non coerente rispetto agli scopi che il trust dovrebbe perseguire in base all’atto istitutivo;
- operazioni di gestione effettuate dal trustee con la sistematica presenza del disponente, del guardiano o dei beneficiari;
- frequenti dazioni in favore di nominativi ricorrenti in trust opachi, specie se effettuate verso paesi o territori a rischio;
- dazione al guardiano, a titolo di remunerazione per l’incarico svolto, di cespiti del fondo in trust o di somme non corrispondenti a quelli eventualmente previsti dall’atto istitutivo».