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Dal 01 gennaio 2024 il tasso degli interessi legali, ex articolo 1284 del Codice Civile, passa dal 5% al 2,5%.

A stabilire la diminuzione è il Decreto MEF del 9.11.2023 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 288 dell'11.12.2023.
Articolo 1) La misura del saggio degli interessi  legali  di  cui  all'articolo 1284 del codice civile è fissata  al  2,50  per  cento  in  ragione d'anno, con decorrenza dal 1° gennaio 2024. 

Oltre ai riflessi sulla domanda di investimenti, sui mutui e sui finanziamenti, la variazione del tasso di interesse si fa sentire in particolare in ambito fiscale, per le somme da versare a titolo di ravvedimento operoso.

Ravvedimento tardivo versamento del diritto annuale 3850

Ravvedimento tassa vidimazione libri sociali 7085

Ravvedimento operoso codice 1040

Ravvedimento f24 a zero

Ravvedimento LIPE

Articolo 1284 Codice Civile - Saggio degli interessi
Il saggio degli interessi legali è determinato in misura pari al ___ per cento in ragione d'anno. Il Ministro del tesoro, con proprio decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana non oltre il 15 dicembre dell'anno precedente a quello cui il saggio si riferisce, può modificarne annualmente la misura, sulla base del rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata non superiore a 12 mesi e tenuto conto del tasso di inflazione registrato nell'anno. Qualora entro il 15 dicembre non sia fissata una nuova misura del saggio, questo rimane invariato per l'anno successivo.

Si ricorda che la misura del saggio di interessi era:

nel 2023 pari al 5%
nel 2022 pari al 1,25%
nel 2021 pari allo 0,01%
nel 2020 pari allo 0,05%
nel 2019 pari allo 0,8%
nel 2018 pari allo 0,3%
nel 2017 pari allo 0,1%
nel 2016 pari allo 0,2%

 

Francesco Cacchiarelli economista d'impresa dal 1989

Iscritto all'Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Viterbo, al numero 084 sezione A, anzianità 1989 

Iscritto nel Registro dei Revisori Legali MEF, al numero 103287 sezione A, anzianità 1999 

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Il credito d’imposta sulle commissioni sui pagamenti elettronici, come il POS, è pari al 30% delle commissioni addebitate per le transazioni effettuate con privati consumatori mediante strumenti di pagamento tracciabili. L’agevolazione è destinata agli imprenditori o lavoratori autonomi, per i quali risultino nell’anno precedente ricavi e compensi inferiori ai 400.000 euro

Le tipologie di transazioni soggette all’erogazione del credito d’imposta sono tutti i pagamenti con carta di credito, debito, prepagata o mediante altri strumenti di pagamento digitali quali POS, e-wallet, smartphone o smartwatch.

Ai fini dell'ottenimento del “Bonus POS 2023” non potranno essere considerate le commissioni relative a transazioni effettuate tramite terminale POS, per cui viene emessa fattura intestata ad una partita IVA.

Il credito di imposta per i pagamenti elettronici è utilizzabile esclusivamente in compensazione a decorrere dal mese successivo a quello di sostenimento della spesa.

Il codice da indicare nel modello F24 telematico è il codice tributo 6916 denominato “Credito d’imposta commissioni pagamenti elettronici”.

Nel modello F24 i campi “mese di riferimento” e “anno di riferimento” sono valorizzati con il mese e l’anno in cui è stata addebitata la commissione che dà diritto al credito d’imposta, rispettivamente nei formati “00MM” e “AAAA”.

Il credito d'imposta dovrà successivamente essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta di maturazione del credito e nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d'imposta successivi fino a quello nel quale se ne conclude l'utilizzo.

Per beneficiare del Credito di Imposta sulle commissioni, l'Esercente deve:

-scaricare il rendiconto prodotto e messo a disposizione - ad esempio da Nexi - relativamente alle transazioni effettuate con carte dei circuiti internazionali (Visa, Mastercard, UPI, JCB). Per le commissioni derivate da transazioni su circuito PagoBANCOMAT, il rendiconto viene emesso solitamente dalla propria Banca;

-consegnare tutta la documentazione al proprio "commercialista".

 

Se sei un imprenditore e ti chiedi perché la tua azienda fa fatturato (o addirittura utili) ma alla fine dell’anno non rimangono soldi sul conto, la soluzione NON è andare in banca ed incrementare il tuo debito.

Spesso ci interfacciamo con imprenditori che si rivolgono a noi per richiedere un finanziamento in banca, ma che in realtà riuscirebbero ad incrementare la liquidità di cui hanno bisogno semplicemente lavorando sui processi della loro azienda!

Per questo motivo abbiamo deciso di realizzare una guida gratuita dove presentiamo 8 strategie pratiche per incrementare la liquidità aziendale SENZA ricorrere al sistema bancario tradizionale (Strategie ignorate dal 90% degli imprenditori).

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A partire dal 1° febbraio 2024, le aziende devono attenersi a nuove e più rigorose specifiche tecniche nella compilazione delle fatture elettroniche, soprattutto per quanto riguarda le dichiarazioni d'intento. Queste modifiche, introdotte con l'implementazione della versione 1.8 delle specifiche tecniche, influenzano direttamente il processo di emissione e gestione delle fatture elettroniche.
Uno dei principali cambiamenti riguarda un controllo più rigoroso per le fatture che includono dichiarazioni d'intento. Se la dichiarazione d'intento inserita nel campo "Altri dati gestionali" risulta essere invalida, la fattura sarà automaticamente scartata dal Sistema di Interscambio (SDI).
Per evitare il rifiuto delle fatture, è essenziale seguire attentamente le istruzioni per la compilazione corretta del campo "Altri dati gestionali":

Natura IVA: Selezionare "N3.5 - Non imponibili – a seguito di dichiarazioni d’intento".

Tipo Dato: Inserire "INTENTO".

Riferimento Testo: Indicare il numero di protocollo della dichiarazione d'intento, composto da due parti:
La prima parte è formata da 17 cifre.
La seconda parte è costituita da 6 cifre progressive, separate dalla prima parte con un trattino "-" o una barra "/".
Esempio completo: "12347567901234567-000001".

Riferimento Data: Inserire la data della ricevuta telematica rilasciata dall'Agenzia delle Entrate per la dichiarazione d'intento.

Ecco le istruzioni per la compilazione del blocco 2.2.1.16:
2.2.1.16.1 <Tipo Dato>:
Inserire la dicitura "INTENTO".

2.2.1.16.2 <Riferimento Testo>:
Indicare il numero di protocollo della dichiarazione d'intento, composto da due parti:
Prima parte: 17 cifre (es. 12347567901234567).
Seconda parte: 6 cifre progressive, separate dalla prima parte con un trattino o una barra (es. 000001).
Esempio completo: 12347567901234567-000001.

2.2.1.16.4 <Riferimento Data>:
Inserire la data della ricevuta telematica rilasciata dall'Agenzia delle Entrate per la dichiarazione d'intento.

Compilando correttamente il blocco 2.2.1.16 e seguendo le istruzioni fornite, è possibile evitare lo scarto delle fatture elettroniche con dichiarazione d'intento e garantire la corretta emissione dei documenti fiscali.

Consigli:

1. Compilazione corretta del campo "Altri dati gestionali":
Indicare "Dichiarazione d'intento" all'inizio del campo.
Specificare numero e data della dichiarazione d'intento in modo chiaro e univoco.
Evitare di inserire altri dati nel campo.

2. Verifica della validità della dichiarazione d'intento:
Utilizzare il servizio dell'Agenzia delle Entrate per verificare la validità della dichiarazione prima di inviare la fattura al SDI.

3. Conformità della dichiarazione d'intento:
Assicurarsi che la dichiarazione d'intento sia conforme alle specifiche tecniche dell'Agenzia delle Entrate.
Numero e data della dichiarazione d'intento devono corrispondere a quelli della dichiarazione presentata all'Agenzia delle Entrate.

4. Controlli aggiuntivi:
Verificare la coerenza tra imponibile, aliquota IVA e importo IVA.
Assicurarsi che la Partita IVA e il Codice Fiscale di fornitore e cliente siano presenti nell'anagrafe tributaria.
Inserire il Codice Destinatario o la PEC per la ricezione della fattura elettronica.

In caso di fattura scartata:
Identificare l'errore che ha causato lo scarto.
Correggere l'errore nella fattura.
Inviare nuovamente la fattura al SDI.

 

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Titolo: Fashion influencer: le spese per l’abbigliamento sono deducibili  
Fonte: CTR Lombardia, sentenza n. 468 del 2024  
Argomento: Deducibilità delle spese per l'abbigliamento sostenute dai fashion influencer 

Fattispecie:
Una giornalista e fashion influencer contesta l'irrogazione di imposte su alcune spese professionali, tra cui quelle per l'acquisto di capi d'abbigliamento.
L'Agenzia delle Entrate e i giudici di primo grado considerano le spese non inerenti all'attività professionale svolta dalla contribuente.

Ratio decidendi:
Il vestiario costituisce "parte integrante del personaggio e dell'immagine" di un fashion influencer.
L'acquisto di capi d'abbigliamento di vario tipo e genere è strettamente collegato alla professione di influencer.

Massima:
Le spese per l'abbigliamento sostenute da un fashion influencer sono deducibili al 50%, in quanto considerate promiscue e inerenti all'attività professionale svolta.

Obiter dictum:
La sentenza n. 219 del 15 maggio 2023 della CTR Piemonte per il caso "Cristiano Ronaldo" accende una luce sul mondo degli influencer e sul loro sfruttamento del diritto di immagine.

Titolo: Abiti deducibili dai collaboratori se l’azienda impone un «dress code»
Fonte: CTP Milano, sentenza n. 6443/40/16 del 22 luglio 2016
Argomento: Deducibilità delle spese per l'abbigliamento e l'arredamento sostenute da un professionista con partita IVA
Fattispecie:
Belen Rodriguez, showgirl con partita IVA, ricorre contro un avviso di accertamento che le contesta la deducibilità di alcune spese, tra cui quelle per l'abbigliamento e l'arredamento.
La showgirl sostiene che tali spese sono deducibili in quanto inerenti all'attività professionale svolta.

Questione:
In quali casi le spese per l'abbigliamento e l'arredamento sono deducibili per un professionista con partita IVA?

Risposta:
Le spese per l'abbigliamento sono deducibili al 50% se:
Sono previsti da un contratto di collaborazione che impone un dress code.
Sono sostenute per l'acquisto di abiti utilizzati per l'attività professionale (ad esempio, toga per avvocato).
Sono sostenute per l'acquisto di abiti utilizzati promiscuamente per l'attività professionale e la vita privata, ma in modo non sproporzionato rispetto ai ricavi conseguiti.
Le spese per l'arredamento sono deducibili al 50% se:
L'arredamento è utilizzato promiscuamente per l'attività professionale e la vita privata.
Il costo dell'arredamento non è sproporzionato rispetto ai ricavi conseguiti.

Ratio decidendi:
Il principio di inerenza sancisce la deducibilità di un costo solo quando tale costo è funzionale e strettamente collegato all'attività produttiva.
Esistono alcune deroghe a tale principio, come ad esempio la deducibilità al 75% delle spese per vitto e alloggio.
La clausola del dress code nel contratto di collaborazione è un elemento che può far presumere l'inerenza delle spese per l'abbigliamento.

 

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L’obbligo fiscale della tenuta della scritture ausiliare di magazzino scatta per tutte le aziende in contabilità ordinaria che superino congiuntamente alcuni requisiti in termini di ricavi e di rimanenze.
 
Limiti dimensionali
L’articolo 1 del D.P.R. n. 695 del 9 dicembre 1996 ha previsto che la contabilità di magazzino deve essere tenuta a partire dal secondo periodo d’imposta successivo a quello in cui per la seconda volta consecutivamente e congiuntamente:
 
  • l’ammontare dei ricavi (di cui agli artt. 57 ed 85 del TUIR) sia superiore ad Euro 5.164.568,99, e

  • il valore complessivo delle rimanenze finali sia superiore ad Euro 1.032.913,80.

L'obbligo della contabilità di magazzino cessa a partire dal primo periodo di imposta successivo a quello in cui, per la seconda volta consecutiva, l'ammontare dei ricavi e il valore delle rimanenze finali, risultano inferiori ai sopraccitati limiti.

Ai fini del riconoscimento del credito d'imposta formazione 4.0 (e Ricerca e Sviluppo) e per poter iniziare la compensazione dello stesso, l'effettivo sostenimento delle spese ammissibili e la corrispondenza delle stesse alla documentazione contabile predisposta dall'impresa devono risultare da apposita certificazione rilasciata dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti. Per le imprese non obbligate per legge alla revisione legale dei conti, la certificazione è rilasciata da un revisore legale dei conti o da una società di revisione legale dei conti, iscritti nella sezione A del registro di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39. Nell'assunzione di tale incarico, il revisore legale dei conti o la società di revisione legale dei conti osservano i princìpi di indipendenza elaborati ai sensi dell'articolo 10 del citato decreto legislativo n. 39 del 2010.

A fronte del sostenimento della spesa per l’attività di certificazione contabile, esclusivamente le imprese non soggette alla revisione legale dei conti, maturano un credito di imposta di importo non superiore al minore tra il costo effettivamente sostenuto e 5.000 euro. In buona sostanza, per le aziende non soggette alla revisione obbligatoria, qualora l’onorario del revisore non sia superiore a 5.000 euro, la certificazione è a “costo zero”.

La circolare AdE n. 13/E del 27 aprile 2017, al paragrafo 4.6, precisa che il credito d’imposta conseguente alle spese di certificazione è fruibile dal giorno successivo al completamento dell’attività del certificatore, che avviene naturalmente l’anno successivo al sostenimento delle spese ammesse, quindi di maturazione del credito fiscale. Ciò nonostante, nel modello F24 quale anno di riferimento va indicato quello del credito di imposta “principale” ed andrà indicato nel quadro RU della dichiarazione dei redditi del periodo di maturazione del bonus al quale la certificazione attiene.

Il MISE con la circolare 15 febbraio 2019, n. 38584 ha opportunamente precisato “che in sede di rilascio della certificazione della documentazione contabile non è richiesta al soggetto incaricato della revisione legale dei conti (ovvero, nel caso di imprese non tenute al controllo legale dei conti, al soggetto qualificato cui viene richiesta la certificazione) alcuna valutazione di carattere tecnico in ordine all’ammissibilità al credito d’imposta delle attività di ricerca e sviluppo svolte dall’impresa”.

L’Agenzia delle Entrate, circolare n. 8/E del 10 aprile 2019, al paragrafo 3.1, ha richiamato la citata prassi del MISE, ha puntualizzato che il revisore deve accertarsi della regolarità formale dei documenti e dei contratti rilevanti ai fini della determinazione del credito di imposta e che nello svolgimento di tale attività non può affidarsi alle tecniche di campionamento, bensì deve procedere al controllo totale della documentazione.

NO CERTIFICAZIONE NO COMPENSAZIONE ! 

 

SI ESEGUONO ANCHE REVISIONE CONTABILI VOLONTARIE DEI FASCICOLI CREDITO IMPOSTA FORMAZIONE 4.0

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